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martedì 29 marzo 2016

I ROLLING STONES A CUBA per la prima volta

Marzo 2016
 
Non posso non rimanere molto colpito dal fatto che il primo evento culturale che sancisce simbolicamente e trionfalmente la fine dell'isolamento politico di Cuba sia stato, ieri, proprio un concerto gratuito dei Rolling Stones.
La cosa assume una rilevanza unica sia come segno di ciò che si vuole che sia il futuro del costume, della cultura, dell'ideogia, della vita di quell'isola, sia per la stessa rock band inglese, l'unica impresa industrial/culturale multinazionale di quel tipo ancora in piena attività e finanziariamente performante da 50 anni.
Non sono capace di fare qui una analisi delle ragioni e delle conseguenze di questo evento che certamente è storico per Cuba ma anche per il mondo "sviluppato".
Sarebbe molto facile scadere in condanne moralistiche, e chiedersi ad esempio se non sarebbe stato più opportuno un grande concerto che so, di New York Philarmonic con direttore d'orchestra cubano e repertorio sudamericano, a sancire la nuova amicizia tra i vecchi nemici.
Ma certamente c'era bisogno di qualcosa che avesse copertura mediatica internazionale, e che potesse essere accolto dai cubani con entusiasmo. Ho sentito dire in verità che l'isolamento culturale dell'isola era tale che molti ignorassero quasi gli Stones, o conoscessero soltanto la loro canzone forse più famosa, "Satisfaction". Anche qui, non si può fare a meno di notare come questo stesso titolo diventi, 50 anni dopo esserlo stato in Occidente, lo slogan ideale per i cubani di oggi: prima "I COULD get no satisfaction", con il sistema politico castrista, ma adesso arrivano gli americani, i loro investimenti, la loro "libertà", e la satisfaction diventa a portata di mano per chi si rimbocca le maniche.
Quanto agli Stones, con questo concerto che vale come se avessero suonato all'indomani della caduta del muro di Berlino, assumono una statura storico/politica che forse prima era solo virtuale, e diventano così l'avanguardia simbolica di tutte le altre industrie multinazionali che seguiranno presto a Cuba le loro orme : del turismo, delle costruzioni, del commercio, della ristorazione e così via. Inutile far la lista: inizia da Mac Donald, Apple e così via. Ma queste non forniranno certamente gratis i loro servigi.
Io non sono mai stato a Cuba e quindi non so se in questo passaggio storico prevalgano gli aspetti negativi per il futuro dell'isola, per la sua integrità naturale, culturale, umana, oppure quelli certamente positivi di un sicuro aumento del tenore di vita della popolazione, con più posti di lavoro, salari migliori, case e servizi e così via.
Ma certo con oggi finisce il Mito (tutto occidentale forse) dell'ultimo luogo nel quale si tentava di resistere all'ideologia del pensiero unico capitalista, chiusi nel sogno di una "revolución" continua alla quale probabilmente non credeva più nessuno, ma che rimaneva nonostante tutto il simbolo di un orgoglio nazionale, di un fortissimo amor di patria.
Leggo che le agenzie turistiche degli Stati Uniti stanno promuovendo a tappeto in queste settimane le crocere a Cuba con lo slogan "andateci subito, prima che possiamo rovinarla". Se lo dicono loro.....

Gianandrea Gavazzeni, le avanguardie e noi


Qualche settimana fa ricordavo come alcuni musicisti/intellettuali non di primissimo piano, ma molto attivi nei decenni centrali del Novecento, come Gianandrea Gavazzeni, siano forse ingiustamente caduti nell’oblìo, e trascurato il valore del loro operato culturale e della loro riflessione estetica.
Oggi leggo un suo breve saggio del 1966 (nel libro “Non eseguire Beethoven, e altri scritti”) nel quale, occupandosi delle opere di Ildebrando Pizzetti, coglie l’occasione per esprimere perplessità circa la temperie culturale del Dopoguerra e l’egemonia del pensiero “d’avanguardia”. Ne estraggo alcuni passi:
“L’ultimo dopoguerra pone problemi inquieti, difficili e contradditori. Il processo é ancora in atto e non varrebbe ripercorrerne oggi l’istruttoria. La revoca in dubbio  cominciò allora, e investì i maggiori musicisti  compresi nella “generazione dell’80”. Perfino colui che pareva incombustibile, Stravinsky, venne drammaticamente implicato nella polemica adorniana.
I moduli sociologici vollero sostituirsi ai parametri estetici, portando avanti idee e metodi già cari al positivismo passato. Proprio l’estetica dei valori fu data per morta; involgendo ogni rapporto tradizionale dentro l’agonia della cultura borghese. Mentre ancor oggi, dopo vent’anni  da quelle saghe, non é stabilito con qualche garanzia sicura se codesta agonia sia davvero una realtà –estetica e sociale– o non piuttosto un luogo retorico  comodamente maneggevole.
Non sembra poi, dopo un ventennio, che la tentata cancellazione della “generazione dell’80” abbia dato  la stura a tali  capolavori e a tali  sorprese di  linguaggio, di poetiche, da giustificare l’avventatezza e rapidità del procedimento giudiziario (.....) Quanto alla “ nuova musica” o “neoavanguardia”, la partita é  troppo aperta... senza tralasciare l’ipotesi che musica, pseudomusica, come categoria utilitaria, o commestibile, sia del tutto inutile e nient’affatto necessaria all’uomo civilizzato contemporaneo.. Leggo in questi  giorni  la raccolta di un critico d’arte e poeta di colta finezza (....) Alessandro Parronchi- Pregiudizi e libertà dell’arte moderna; il suo rapporto sulla pittura recente, sui vizi e le volontarie distruzioni, offre esatto parallelismo  alla situazione musicale, con la coraggiosa difesa di un mondo falsamente dato  tutto  per morto, ancora attivo in una realtà della vita spirituale odierna e delle sue necessità. (....) La possibilità che il nostro singolo giudizio sia errato dà il continuo  movimento alla vita musicale del nostro spirito. Proprio  la revoca in dubbio  costituisce uno stimolo  operativo  incessante. Soltanto  l’odierno irrazionalismo non ha dubbi che certi  montaggi  rumoristici appartengano  all’assoluto del valore artistico o della liceità sociologica.”