F. Nietzche, frammenti postumi
Ecco un libro che conferma, se ce ne fosse ancora bisogno, che ci troviamo nel mezzo di un grande disorientamento, e che forse il Postmoderno ha esaurito la sua "energia propulsiva" e la sua funzione storica, essendosi traformato sic et simpliciter in Mercatismo.
Si tratta di Jean Clair - L'inverno della Cultura, pubblicato in Italia da pochi giorni presso Skira. L'autore ha ricoperto ruoli dirigenziali presso importanti istituzioni quali il Centre Pompidou e la Biennale di Venezia, ed è membro de l'Académie Française. Provenendo non da un outsider neo-dadaista, ma da chi siede al vertice delle agenzie culturali, il pamphlet pare che abbia scatenato uno scandalo in Francia, e promette di fare altrettanto in Italia.
Il libro si occupa principalmente di tematiche riguardanti le arti visive contemporanee e il sistema dei musei, ma la sua cruda analisi riguarda tutto il mondo della cultura e dei rapporti con il Mercato, e per questo mi interessa parlarne qui. Si tratta di un polemico j'accuse che opera, con linguaggio stringato e diretto, una spietata disamina dello stato dell'arte (letteralmente: dell'Arte) basata su alcuni provocatori capisaldi teorici:
1) L'inverno della cultura ha svuotato della loro dimensione "sacra" sia le opere del passato, espunte dal loro contesto storico/sociale e relegate in musei asettici, non-luoghi della fruizione idolatra di massa, sia quelle contemporanee, diventate ormai tout-court puro oggetto di speculazione finanziaria.
2) L'inverno della cultura ha sostituito il concetto di Sacro, immanente all'Opera, con il culto della personalità e dell'immagine dell'Artista, indipendente dalla qualità intrinseca dell'oggetto d'arte.
"L'Arte, nella mitologia dell'avangardia, esalta l'Io onnipotente del Creatore diventato un Dio.."
"L'Arte, nella mitologia dell'avangardia, esalta l'Io onnipotente del Creatore diventato un Dio.."
3) Il "dialogo tra le diverse culture", parola d'ordine della globalizzazione da alcuni decenni, è sfociato in un ambiguo cosmopolitismo neocolonialista, funzionale a logiche di consumo che trasformano anche gli oggetti testimoni di altre civiltà in merce decontestualizzata da comprare e vendere sul "mercato dell'arte".
4) Parallelamente, i musei hanno perduto progressivamente il senso della loro utilità sociale: alla ricerca di nuove funzionalità, hanno sperimentato ogni formula architettonica ed espositiva (Museo- Grande Galleria, Museo-Basilica, Museo-Chiocciola, Museo-Spirale e infine, Museo-Cassaforte!). Finchè alla fine, con l'abile entrata - sponsorizzazioni alla mano - dei Mercanti nel Tempio, i musei si sono trasformati da giacimenti culturali da preservare e valorizzare in multinazionali finanziarie della cultura. Ospitando eventi e vernissages che con la cultura poco o nulla hanno a che fare, i musei forniscono legittimità e prestigio internazionale a operazioni che usano il terreno artistico come paravento di interessi economici.
5) Mentre la musica, la danza e tutte le discipline che implicano una performance in scena e un notevole virtuosismo strumentale o corporeo frutto di lungo studio ed esercizio mantengono appieno il valore intrinseco dell'esecuzione artistica, "non c'è nè mestiere nè maestria nelle arti plastiche" (contemporanee, NdR). Nei vari happenings, performances degli artisti visuali (plastici, concettuali o comunque si definiscano) si celebra soltanto "l'elogio della spontaneità, dell'automatismo, dell'azzardo, il gusto della violenza e il fascino dell'istante ... il rifiuto di produrre opere..... il pittore, il poeta sarebbero dunque succubi di uno slancio irriflessivo e brutale, non più gli agenti di una creazione meditata".
6) Infine, per contrastare il feticismo idolatra del turismo culturale di massa, Jean Clair avanza la provocatoria ipotesi di chiudere al pubblico i musei! "Sloggiata, snaturata, cosa diventa un'opera d'arte quando...non è più che un'immagine dallo statuto incerto, priva di identità e destinazione, dopo essere stata svuotata dalle virtù magiche che le attribuivano i creduli fedeli, ma svuotata anche del rispetto per la sua natura materiale, di opera d'arte, ridotta a essere null'altro se non il supporto contingente della frenesia nevrotica del turismo di massa? Che senso ha un'opera vera diventata un falso?"
E a compensazione, la proposta - solo apparentemente in paradossale contrasto con la nota tesi di W. Benjamin sulla perdita dell'aura dell'opera d'arte riprodotta - di sostituire con copie (tecnologicamente oggi perfette) nei loro luoghi originali - chiese, palazzi, statue all'aperto - i capolavori oggi custoditi nei musei per preservarli dalle ingiurie del tempo.
E a compensazione, la proposta - solo apparentemente in paradossale contrasto con la nota tesi di W. Benjamin sulla perdita dell'aura dell'opera d'arte riprodotta - di sostituire con copie (tecnologicamente oggi perfette) nei loro luoghi originali - chiese, palazzi, statue all'aperto - i capolavori oggi custoditi nei musei per preservarli dalle ingiurie del tempo.
Certamente il libro è attraversato da un certo pessimismo aristocratico, specialmente quando se la prende con la (presunta) generale ignoranza dei visitatori dei musei. Lo si potrebbe definire a prima vista conservatore, se si vuole perfino reazionario. Si deve però ammettere che, Mutatis mutandis, la positiva critica sociologica della mercificazione della cultura iniziata da Adorno e Horkheimer trova qui una sua logica prosecuzione ideale, e che le ragioni di un ritorno all'autenticità simbolica, sacra dell'Arte non possono non essere condivise. I sintomi dell' inverno della cultura denunciati da Jean Clair li vediamo anche nella musica.
Anche noi musicisti da lungo tempo ci siamo accorti che la diffusione a livello di massa della grande musica "classica", fatto in sè altamente positivo, porta però con sè anche il rischio dell' idolatria acritica, nella quale il valore delle opere musicali si perde in una fruizione superficiale e modaiola che conduce inevitabilmente alla irrilevanza sociale dell'Arte e alla sua facile mercificazione (T.W.Adorno - Il carattere di feticcio in musica e la regressione dell'ascolto, in Dissonanze , Milano 1974).
Anche noi assistiamo in questi decenni ad una sempre maggiore attenzione all 'immagine pubblica del grande direttore o solista, a sistemi di culto della personalità costruiti da attenti uffici stampa per i media globali. Ne abbiamo già parlato QUI , e QUI .
Anche noi abbiamo criticato QUI un malinteso "dialogo tra le diverse culture musicali", quando esso si risolva in un patchwork senza senso, se non quello del profitto che cavalca l'ambiguo Idolo della World Music globalizzata neo-capitalista.
Anche noi abbiamo molto da ridire su certe "avanguardie" (sia quella postdodecafonica, seriale, strutturalista, sia quella postmoderna, minimalista, pop o come altro la si voglia definire) che si attardano talvolta ancora in esercizi di stile, per non prendere il toro per le corna e cercare la risposta alla domanda più importante: come si fa a restituire alla musica il suo Potere sacro, rituale; come farla parlare nuovamente con la voce numinosa del Mito, che non è nè antico nè moderno? Parafrasando Arnold Schoenberg, diciamo che non è più questione di "stili", ma di idee.
L'inverno della cultura, un libro forse sbrigativo ma ispirato da autentica passione etica, è l'ennesima prova che i tempi sono ormai maturi.
Anche noi musicisti da lungo tempo ci siamo accorti che la diffusione a livello di massa della grande musica "classica", fatto in sè altamente positivo, porta però con sè anche il rischio dell' idolatria acritica, nella quale il valore delle opere musicali si perde in una fruizione superficiale e modaiola che conduce inevitabilmente alla irrilevanza sociale dell'Arte e alla sua facile mercificazione (T.W.Adorno - Il carattere di feticcio in musica e la regressione dell'ascolto, in Dissonanze , Milano 1974).
Anche noi assistiamo in questi decenni ad una sempre maggiore attenzione all 'immagine pubblica del grande direttore o solista, a sistemi di culto della personalità costruiti da attenti uffici stampa per i media globali. Ne abbiamo già parlato QUI , e QUI .
Anche noi abbiamo criticato QUI un malinteso "dialogo tra le diverse culture musicali", quando esso si risolva in un patchwork senza senso, se non quello del profitto che cavalca l'ambiguo Idolo della World Music globalizzata neo-capitalista.
Anche noi abbiamo molto da ridire su certe "avanguardie" (sia quella postdodecafonica, seriale, strutturalista, sia quella postmoderna, minimalista, pop o come altro la si voglia definire) che si attardano talvolta ancora in esercizi di stile, per non prendere il toro per le corna e cercare la risposta alla domanda più importante: come si fa a restituire alla musica il suo Potere sacro, rituale; come farla parlare nuovamente con la voce numinosa del Mito, che non è nè antico nè moderno? Parafrasando Arnold Schoenberg, diciamo che non è più questione di "stili", ma di idee.
L'inverno della cultura, un libro forse sbrigativo ma ispirato da autentica passione etica, è l'ennesima prova che i tempi sono ormai maturi.
il post è molto interessante, ricco di spunti e solleva molti problemi su cui riflettere.
RispondiEliminami permetto una sola osservazione così, un po' a caldo:
idee come quella della "sacralità immanente nell'opera", del concerto come momento rivelatore, come vero e proprio rito, almeno in una dimensione di fruizione diffusa e non riservata a pochi eletti o addetti ai lavori, non sono un patrimonio secolare dell'umanità, bensì nascono nel periodo tra sette e ottocento nell'europa centrale. Solo nel '900 queste idee, anche grazie al benessere più diffuso e ai mezzi di comunicazione di massa si sono veramente affermate in modo significativo.
Può essersi trattato semplicemente di una temperie, di una fase storica, molto limitata nello spazio e nel tempo che è semplicemente finita.
Certo, spiace vedere una importante eredità perdersi, ma forse è semplicemente il momento prenderne atto e di provare inventarsi altro, e certo anche riflettere su come meglio agire per tenere in vita questa tradizione, sapendo che però rischia la "museizzazione" (mi scuso per l'approssimazione, ma devo rifletterci ancora)
Giovanni Bataloni
Da un lato c'è la "malattia della Storia" di cui parlava NIetzche, la museificazione/mummificazione della cultura, che grava su di noi e frena l'innovazione.
RispondiEliminaDall'altro , l'eredità di una civiltà che non va persa , ma conservata e trasmessa alle generazioni future.
Infine, il rischio - attualissimo- di svilire, trasformare in merce qualsiasi cosa .
"Grande è la confusione sotto il cielo . La situazione è eccellente." Mao Tse Tung ( Dong)
Tutti gli argomenti sono interessanti ma, in un certo senso, datati. Il rapporto tra successo di pubblico e valore reale è una dolente nota nell'arte di tutti i tempi, soprattutto nelle arti performative: me c'è una qualche medicina? possiamo correre dietro ad un "pubblico colto"? probabilmente un melomane di alta classe si bea della "forma" in Schumann o Brahms, ma disprezza (leggi:non capisce niente) del II atto del Ballo in Maschera. E le cronache della critica e dell'accademismo del passato sono piene di imbarazzanti testimonianze di incomprensione delle opere di Mozart, Beethoven e mille altri. Per le arti figurative è peggio ancora: il sistema museale è un modo di aprire a tutti un mondo estetico che tradizionalmente era riservato al solo committente o all’acquirente, così come l'esecuzione musicale apparteneva ai salotti. E' chiaro che questa "democrazia" della fruizione non è una panacea di per sé, proprio come non lo è la democrazia come sistema di governo: è semplicemente il presupposto minimo. Il riferimento ad Adorno è pertinente proprio per la sorpassata aristocrazia insita in quel tipo di analisi sociologica; la verità è che in tutte le epoche e in tutte le arti troviamo testimonianze mescolate di “volgarità”, “ricerca dell’Assoluto”, “committenza”, eccetera. Balzac, raccontando del pittore immaginario Frenhofer, nota coma l’esser ricco sia una disgrazia per l’artista, proprio perché gli permette di rincorrere i propri ideali senza aver la necessità, strada facendo, di seminare oggetti da vendere, oggetti che inevitabilmente porterebbero in sé dei frammenti preziosi di quell’Assoluto. In questo senso io direi che la cultura contemporanea, sebbene apparentemente “di massa”, propaganda una visione “di eccellenza” dell’oggetto artistico, presentandolo come frutto rappresentativo del talento e della cultura, da ammirare come creazione del “primo della classe”. Questa è la mercificazione! Ecco perché, poi, si scatenano le X-factor degli aspiranti pronti a saltare sul carro della propagandata genialità. Non credo esista una vaccinazione contro questo virus, gli anticorpi sono nell’arte stessa (“similia similibus curantur”): si aprano altri musei (i magazzini sono pieni! I “centri minori” non hanno visitatori!), si moltiplichino le esibizioni teatrali e musicali (le accademie sono strapiene di talenti, non c’è bisogno di nessun talent-show per cercarli per strada) e si ammetta che “il re è nudo” quando si tratta di grandi interpreti e di produzioni musicali: nessuno mette in dubbio il telento di Tizio e Caio, semplicemente dobbiamo aprire gli occhi sui mille e mille altri talenti esistenti (e guardare le partiture più delle esibizioni gestuali dei direttori-macchietta) . E si aggiornino le istituzioni scolastiche, bombardando i giovanissimi con i prodotti dell’arte cancellando le vecchie retoriche (ancora vive) di tipo nazionalistico e culturale che trasformano l’arte in antiquariato, in prodotto patinato per un universo totalmente borghesizzato. Se si vuole “acquistare” l’eccellenza... i negozi sono pieni di merce prodotta da geni del design e della tecnologia. La fruizione dell’arte rappresenta tutt’altro: una sorta di esercizio senza fine, una nevrosi dell’emozione e dell’esistenza dalla quale non si esce mai soddisfatti, né si potrebbe.
RispondiEliminaLeonardo Asso
Grazie davvero Leonardo del tuo appassionato commento, che condivido sopratutto nell'appello finale ( oltre ad apprezzare la tua abituale erudizione interdiosciplinare in materia d'arte). E sono certo che anche il "reazionario" Jean Clair sarebbe felice di aderire al tuo programma di politica culturale !
RispondiEliminaRimango, invece, dubitoso nell'interpretazione della frase conclusiva di questo tuo passo :
RispondiElimina"la cultura contemporanea, sebbene apparentemente “di massa”, propaganda una visione “di eccellenza” dell’oggetto artistico, presentandolo come frutto rappresentativo del talento e della cultura, da ammirare come creazione del “primo della classe”. Questa è la mercificazione! "
Grazie dell'apprezzamento. Per me è mercificazione il culto dell'interprete e della cosiddetta "eccellenza". Ovviamente che in ogni campo ci sono prodotti di qualità eccelsa che possono servire da modello. Tuttavia la cultura della mercificazione mostra questi artisti (o opere) come vette uniche, non imitabili; il pubblico sembra dire "non ho capito niente ma quanto è bravo!! dev'essere difficilissimo!" e così si consola, si rassegna all'idea di non avere a distanza di fruizione degli eventi o oggetti simili (una sinfonia di Beethoven diventa un oggetto "Deutsche Grammophon"). Mentre basta aprire occhi e orecchie per trovare esecuzioni ottime (o potenziali...) dietro casa. L'argomento presenta un interessante parallelismo con le arti figurative perché proprio in Italia abbiamo un patrimonio gigantesco diffuso ovunque, basta aprire gli occhi (e la Guida Rossa del Touring Club). Gli artisti etichettati come "minori" nei libri di scuola sono semplicemente straordinari e sono dietro l'angolo.
RispondiEliminaLeonardo Asso