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sabato 2 giugno 2012

Si possono ancora eseguire le Sinfonie di Beethoven? L'intervento di Gilberto Serembe


Uno stimatissimo e colto collega, Gilberto Serembe, commentava così, su Facebook, il concerto sinfonico in diretta televisiva di una grande orchestra italiana, diretto da un grande Maestro, alle prese con un grandissimo capolavoro del sinfonismo classico, la IX Sinfonia di Beethoven:
Che tristezza vedere all'opera un grande direttore che è ormai l'ombra di sé stesso. Appesantito dalla fatica e opacizzato dalla routine. E che tristezza ascoltare un capolavoro assoluto condotto con approssimazione, grevità e spesso con imprecisione nell'assieme. Se poi aggiungiamo una grande orchestra e un coro che esprimono un risultato da prima lettura, la tristezza è triplicata.
Non avevo assistito alla trasmissione, ma non mi sorprendevano queste parole dettate da una delusione profonda, dall'amarezza per una occasione artistica, a  parere del loro autore, sprecata.
E' perchè  mi hanno ricordato un'altra, recente esecuzione sinfonica beethoveniana in diretta TV, (sempre grande orchestra e grande direttore) alla quale avevo assistito recentemente, e che mi era parsa talmente routinesca da assomigliare a uno di quei concerti-in-trasferta-senza-prove che gli orchestrali, sempre causticamente spiritosi, sono soliti chiamare cinicamente spedizioni punitive:  e così, senza troppo rifletterci su,  mi è uscita dal cuore una provocazione:
La verità (a mio parere) è che forse bisognerebbe lasciar stare le sinfonie di Beethoven, almeno per una decina di anni. Sono inflazionate, non se ne può più, nè le orchestre, nè i direttori, nè il pubblico. Ormai è museo.
Ne è scaturita una interessante discussione, che ho chiesto all'amico Serembe di riassumere in un breve intervento  per questo  blog. 
Lo pubblico qui sotto, con i miei più sentiti ringraziamenti per il prezioso contributo. 

 AZIONE E REAZIONE  -  di Gilberto Serembe

Prendo spunto da un recente commento dell’amico Rivolta a un mio post su Facebook, dove lamentavo la stanca e opaca esecuzione della Nona Sinfonia di Beethoven da parte di uno dei più grandi direttori contemporanei.
Da qualche tempo siamo ormai troppo abituati, forse concretamente assuefatti a concerti di routine, seppur eseguiti da celebri interpreti e nei luoghi più deputati all’ esecuzione musicale. Anche in momenti rilevanti e rappresentativi di situazioni particolari, si può incorrere in risultati minimamente soddisfacenti, se paragonati agli interpreti e alle compagini coinvolte.
Da un artista che ha dedicato la propria vita alla Musica, ci si attenderebbe un’attenzione e una partecipazione totale o perlomeno un coinvolgimento emotivo tale da trasmettere, attraverso la propria esecuzione, un nuovo pensiero interpretativo, un fresco e svecchiato atteggiamento nei confronti dell’opera che sta plasmando. Invece il tutto appare una sorta di “modernariato musicale”, dove un gusto “all’antica” contrasta irrimediabilmente con i tempi e con un orientamento all’ascolto differente da quello del tempo passato. Purtroppo i teatri e le sale da concerto di tutto il mondo, trascorsi decenni, vivono ancora quasi esclusivamente di “riproposte”, facili da offrire e facili da realizzare, è sufficiente accontentarsi.
Se un pubblico d’occasione è facile da accontentare, l’impresa diventa più complicata quando l’ascolto coinvolge gli “addetti ai lavori”, infelice definizione ma credo efficace per definire individui che attraverso lo studio dell’arte musicale si ritrovano inevitabilmente su un piano d’ascolto differente, spesso corrotto proprio dal perfezionamento degli studi stessi e scevri da quella libertà d’ascolto appartenente a un sano appassionato. 
Proprio quest’ultimo però (il sano appassionato, n.d.r.) a sua insaputa, è nutrito di sovente come un’oca all’ingrasso. L'espressione francese “épater le bourgeois”, da secoli calza a pennello. 
In luoghi sfavillanti e ora democratici, ma i medesimi di due secoli fa per modi e costumi, è cibato con un sano ma vecchio mangime spacciato per prelibatezza d’alta cucina.
E’ dissetato con acqua frizzante spacciata per champagne e servito da celebri camerieri in frac.
Dietro questa impeccabile liturgia e i suoi cerimonieri, si annida però la stanchezza e la mancanza di coraggio della nuova proposta culinaria che costringe gli astanti a un eloquente silenzio-assenso, ingurgitando tutto senza assaporare alcunché. E’chiaro che il meccanismo tritatutto che costringe gli operatori musicali a “tour de force” impensabili soltanto pochi decenni fa, produce effetti devastanti su chi agisce e su chi subisce. Se i primi, compartecipi di un’azione collettiva imposta possono facilmente causare danni all’arte musicale per l’approssimazione dovuta ai tempi stretti di realizzazione, i secondi subiscono inevitabilmente l’effetto nefasto di quest’azione, cioè l’accettazione inconsapevole del danno subìto, in altre parole di un pensiero stanco, depauperato nella sostanza, anche se apparentemente vivo nella forma.
Forse è venuto il momento che tutte le forze agenti attorno all’arte musicale si mettano in discussione.
Sovrintendenti, direttori artistici, musicisti e interpreti, tutti in questo momento dovrebbero mostrare un’impellente necessità di revisione del proprio operato, in altre parole di riscoperta di un “modus operandi” e di un “modus vivendi” che permetta la scoperta di mondi nuovi, pensieri nuovi, azioni nuove.
Non c’è bisogno di distruggere alcunché, è necessaria però la consapevolezza di quanto il vizio, la noia e la quotidianità di comportamenti vecchi rischino di portare alla tomba in tempi brevissimi un’arte che per sua natura dovrebbe essere “attiva” e che paradossalmente, per eccessiva azione, appare “passiva”. Aristotele diceva che l'intelletto passivo “diventa tutte le cose”, mentre l'intelletto attivo “tutte le produce”.
Ecco, forse abbiamo ecceduto con l’intelletto attivo, torniamo a “diventare tutte le cose”. 

Gilberto Serembe, Docente Principale – Accademia Italiana per la Direzione d’Orchestra, Faenza



1 commento:

  1. Di per se le sinfonie di Beethoven le potremmo ascoltare milioni di volte ed ogni volta scoprirne qualche segreto, il problema è che molti non ascoltano ma "sentono" soltanto senza che la musica di Beethoven (che già di suo richiederebbe un ascolto attivo anzi è quasi impossibile ascoltare passivamente Beethoven, se si vuole ascoltare Beethoven bisogna accettare di andare dove la sua musica ci porta) riesca ad interagire.

    Il problema della routine però mi trova d'accordo, dirigere,suonare,analizzare o ascoltare Beethoven non è come bere mille bicchieri d'acqua per dissetarsi, ma è come fare un viaggio un lungo e faticoso che solo alla fine ci ripaga della fatica.
    Per capire Beethoven bisogna faticare, perchè se all'apparenza le sinfonie di Beethoven appaiono un qualcosa di facilmente accessibile a tutti (ad un ascolto superficiale che cerca solamente l'effimera gioia di ascoltare i temi principali) in realtà presentano più livelli d'ascolto via sempre più complessi, e solo scendendo verso i livelli più profondi possiamo capire Beethoven senza banalizzarlo.
    Questi livelli secondo me coincidono con l'eleborazione tematica e lo sviluppo spesso basato su piccole cellule generatrici.

    Quindi,se è esagerato stare 10 anni senza Beethoven (e credo che sia solo una provocazione), è pure sbagliato pensare a beethoven come qualcosa che debba servire solo ad attirare le masse.

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