"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


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"Tutta la musica è contemporanea."

mercoledì 21 dicembre 2016

"NEL SECOLO SCORSO SCRIVEVO MUSICA CON LE NOTE" (oggi con i suoni)

"NEL SECOLO SCORSO SCRIVEVO MUSICA CON LE NOTE"
(sottinteso: oggi con i suoni).
Una riflessione sulla "Musica Concreta Strumentale" europea.

Questa frase, pronunciata scherzosamente da un amico compositore, vale una rivoluzione copernicana, e sintetizza perfettamente lo stato attuale della musica "d'avanguardia " europea. È un cambio totale di prospettiva, che apre orizzonti infiniti e imprevedibili.
In verità questa "rivoluzione" ha le sue radici saldamente affondate nel primo Novecento (ma forse anche ben prima: penso ad esempio alle incudini del Rheingold), quando iniziò l'erosione delle barriere tra "suono" e "rumore": molti furono gli autori che contribuirono in modi più o meno radicali a questo lento processo, ma se dovessi indicare il primo, il più coraggioso, direi forse Varèse, con l'irruzione nel circolo chiuso della musica di suoni presi dalla realtà esterna, quali sirene, metalli, suoni industriali e cosi via.
Un altra invenzione del Novecento che alimentò questo processo fu lo sviluppo della tecnologia audio, che diede luogo alla nascita della Musica Elettronica. Per la prima volta i compositori ebbero accesso al mondo infinito dei suoni al di fuori del piccolo recinto delle note. Suoni infiniti e inauditi, che non esistono in natura e che possono essere creati ex novo,  plasmati e organizzati a piacere.
Poi nacque, nella seconda metà del Novecento, la Terza Via, la cosiddetta "Musica Concreta Strumentale", che esplora le possibilità sonore alternative degli strumenti tradizionali; non in cerca di "effetti" stranianti e/o evocativi come potrebbero essere i corni "chiusi" di Mahler o i tremoli al ponticello degli espressionisti,  ma per le loro qualità puramente foniche: suoni complessi, instabili, ai confini col rumore bianco, oppure aggregati inarmonici variamente "colorati" o "sporchi".

 Questo linguaggio è certamente influenzato dall'indeterminato universo sonoro scoperto dall'elettronica, ma vuole forse aggiungere alla freddezza di quest'ultimo il calore della performance strumentale, la componente umana alle prese con l'esecuzione strumentale live, il gesto scenico dell'interprete. Nella musica concreta strumentale il teatro è molto spesso parte integrante dell'evento musicale: lo strumentista deve compiere dei gesti  inediti, ad alto valore visivo. Il violinista deve strofinare l'arco in mille modi alternativi sul corpo dello strumento, e non solo sulle corde: deve esercitare una pressione esagerata fino a produrre dei grattamenti, percuotere la cassa, utilizzare oggetti diversi dall'arco per estrarre suoni dallo strumento. Lo strumentista a fiato deve soffiare senza produrre note, deve simulare dei pizzicati, schiocchi, colpi di ogni genere, deve produrre soffio "colorato" in tinte diverse.
Il pianista, mèmore della lezione di Cage, "prepara" lo strumento in modo da cavarne suoni e rumori infiniti: strofina sulle corde ogni sorta di oggetto, vi infila spaghi che poi tira col gesto del pescatore che imbarca la sua rete, producendo note o suoni tenuti a piacere: vi percuote sopra oggetti metallici, palline da ping-pong, lo strofina con spazzole di ogni tipo, e così via. L'universo delle percussioni poi è il paradiso della musica concreta: qualsiasi oggetto della vita quotidiana può far parte di questo mondo inesauribile, può essere usato per produrre suoni: dalle pentole ai cassetti agli asciugacapelli alle caffettiere alle radio transistor...ancora  una volta, Cage fu lo scherzoso suscitatore di questa rivoluzione, ma forse viene troppo spesso imitato in modo intellettualistico, perdendo di vista la fondamentale componente giocosa e vitalistica del suo far musica con qualsiasi "strumento".

Dunque dicevamo: far musica con i suoni e non più con le note.
Andare alla Cosa-in-Sè, al fenomeno concreto, scavalcando la sua simbolizzazione codificata dalla "scrittura" tradizionale, che espelleva dalla musica ciò che non fosse a priori integrabile nel mondo delle  "Note".
Questo andare al-Suono-stesso potrebbe essere influenzato da una duplice ispirazione, che è parte del nostro Tempo, della temperie culturale nella quale viviamo.
Da un lato, l'atteggiamento fenomenologico, scientifico, che si pone senza griglie precostituite di fronte all'oggetto della propria indagine e lo studia nel dettaglio, lo cataloga, lo analizza, lo esplora per le sue qualità e potenzialità intrinseche.
Dall'altro, direi Cageanamente, vi è una attitudine che potrei chiamare pan-naturalistica o filosofica, che estende il concetto di Musica ad ogni possibile Ente (fenomeno sonoro) del Mondo naturale o artificiale, come oggetto dell'espressione umana poiché l'Uomo vi si può rispecchiare proiettando sul suono in quanto tale, anche quello amorfo e/o casuale, la propria affettività, e conferirgli senso espressivo.
La musica concreta strumentale sembra oscillare, con esiti diseguali, tra i due estremi di questo pendolo.
Però la Musica non è fatta solo dalla scelta per così dire "della materia prima".
È fatta anche e sopratutto di architettura, di Forma. Che cosa sia la Forma è un argomento della massima complessità. Vorrei qui semplificarlo al massimo, col seguente enunciato:
la Forma (la Struttura) è lo strumento che permette di gestire l'Energia.
E questo è il punto a partire dal quale potrebbe prendere le mosse una riflessione filosofica sull'essenza profonda e trascendentale della Musica.
Perché l'Energia a sua volta è l'elemento primario della musica (come di ogni altro fenomeno nel nostro mondo), è ciò di cui è fatto il suono, vibrazioni. Dunque esistono processi energetici già nell'intima natura del singolo suono: la vibrazione viene suscitata da un agente esterno, e se lasciata al suo naturale percorso essa attraversa varie fasi, descrivibili in dettaglio dall'analisi spettroscopica, e poi naturalmente si dissipa e infine si estingue. Ogni suono è dunque interpretabile come una Creatura vivente, in un certo senso, con una sua propria vicenda individuale in miniatura, esattamente come ogni altro essere vivente.
Potremmo certamente accontentarci (di nuovo, Cageanamente) di partecipare affettivamente, traendone un godimento estetico, alla vicenda esistenziale di un singolo suono.
Ma forse sarebbe chiedere troppo alla nostra percezione oggi così assediata e invasa dalla sovrabbondanza di stimoli, di informazioni complesse provenienti dal mondo nel quale viviamo? La nostra percezione musicale è abituata a confrontarsi con opere stracolme di suoni (di note) nelle quali gli eventi si susseguono a grande velocità e con grande varietà di situazioni e di atmosfere. Siamo abituati a seguire psicologicamente sviluppi musicali decisamente teleologici, definiti, ed estremamente complessi, anche nelle musiche apparentemente semplici quali uno schema di danza settecentesca, una Gavotta, una Corrente...

È altresì vero che una delle tendenze fondamentali del nostro tempo, anch'essa dal vago sapore pan-naturalista/ecologico, non a caso in contrasto patente con la iper-tecnologicizzazione e la complessità del mondo contemporaneo, è quella di ricercare la purezza, l'essenzialità, la semplicità: caratteristiche che si possono facilmente riconoscere nello stile cosidetto "minimalista" in tutte le sue manifestazioni.
Il minimalismo - per lo meno quello degli inizi- contrappone al mondo rutilante, complesso e sovrabbondante della contemporaneità un linguaggio essenziale, "semplice". Mette alla prova le facoltà di ascolto e di concentrazione del fruitore, lo invita a fare attenzione ai più minuti fenomeni sonori che si svolgono davanti ai suoi occhi, o per meglio dire davanti alle sue orecchie, e possibilmente a trarne godimento estetico attraverso un atteggiamento psichico a metà strada tra l'analitico e il contemplativo, o di volta in volta l'uno o l'altro di questi, a seconda dello stato d'animo del momento.
Ma il minimalismo risulta così efficace, e non a caso è divenuto largamente popolare, perché possiede almeno due fortissime funzioni strutturali creatrici di senso: da un lato una dimensione ritmica molto chiara, un ostinato costante che sembra assolvere a una funzione archetipica elementare della percezione umana, la continua iterazione di cellule mnemonicamente assimilabili con facilità - e questo infatti è un elemento che condivide con linguaggi popolari quali il rock. Dall'altro lato lo stile minimalista si caratterizza per una chiara direzionalità dei suoi processi evolutivi, per quanto elementari essi possano essere, come ad esempio la semplice accumulazione/rarefazione energetica, o la modulazione armonica graduale e così via: direzionalità attuata attraverso le tradizionali pratiche artigianali della manipolazione tematica e dell'orchestrazione, ma con processi generalmente molto più dilatati rispetto alla musica "classica".

Dunque, dicevamo che la Forma ( la struttura) è strumento di gestione dei flussi energetici, e abbiamo visto che per assolvere a questo scopo, cioè per risultare percepibile e mnemonizzabile, necessita di fondarsi su parametri auto-evidenti che fungano da guida percettiva, come i segnali posti in certi tratti delle passeggiate di montagna servono a guidare, a tenere per mano l'escursionista evitandogli di cadere nel vuoto o di perdere l'orientamento e il sentiero, smarrendosi nell'indeterminatezza delle infinite possibilità = nessuna possibilità.
E naturalmente non esiste solo il parametro ritmico o quello tematico tra le risorse a disposizione di un compositore: esistono molti ulteriori parametri tra i quali ad esempio i processi armonici, vettori per eccellenza dell'energia, e i processi dinamici, agogici, melodici, fraseologici, timbrici e così via. Si potrebbe pensare che un'opera musicale valga tanto più quanto più tutti questi parametri siano attuati contemporaneamente al massimo grado di complessità o di innovazione.
Ma nella storia della musica vi sono capolavori che innovano in modo più radicale soltanto alcuni di questi e non altri, sfruttando questi ultimi come guida, come corrimano al quale l'ascoltatore può reggersi per poter apprezzare la novità introdotta dai primi.
E forse è stato proprio questo l'errore, se di errore si può parlare, commesso dalle avanguardie del Novecento: pensare di fare tabula rasa in un sol colpo, di rinnovare dalle fondamenta il linguaggio musicale, senza lasciare all'ascoltatore alcun corrimano al quale reggersi per non perdere il sentiero?
Ovviamente ciascuno è libero di desiderare, al contrario, di perdersi nell'indeterminato sperimentando - nel campo protetto dell'estetica - la singolare vertigine delle infinite possibilità nello spazio senza, o con rarissimi,  riferimenti.
Ma questo è un atteggiamento forse riservato a una cerchia di addetti ai lavori, o di persone dalla sensibilità acuta, dalla cultura vasta e multiforme e da un particolare desiderio intimo di libertà da ogni schema precostituito. È un fatto innegabile che nella storia le forme artistiche e culturali mutano normalmente con processi relativamente graduali, in una dialettica costante tra "vecchio" e "nuovo", seguendo e assecondando le nuove funzioni che la società in generale esprime indirettamente nell'arte e nella cultura, come conseguenza del mutamento di pensiero della parte più propulsiva della società stessa.
Non dico che questa DEBBA essere la norma: dico che è ciò che di solito avviene.
 Il Ring di Wagner fu profondamente rivoluzionario e traumatico sotto molteplici punti di vista, drammaturgici e musicali, ma si mantenne all'interno di una forma di spettacolo tutto sommato ancora tradizionale, l'Opera lirica con i suoi protagonisti/personaggi, la forma in due o più atti senza pezzi chiusi, già sperimentata con successo dallo stesso Wagner, eccetera. II Sacre di Stravinskij trasformò l'orchestra romantica in una macchina percussiva, ma usò la forma relativamente libera della musica da balletto per narrare una storia a "tableaux", come era nelle consuetudini di questo tipo di spettacolo ottocentesco, illustrandola con una struttura musicale  a pannelli, che permetteva la coesistenza di un alto grado di libertà creativa con la narrazione funzionale.

Concludendo: per non allargare troppo il campo e per venire al punto dal quale questa riflessione si è dipanata un po' disordinatamente, torno alla Musica Concreta Strumentale.
È difficile dire se questa "Terza Via" sia veramente feconda a lungo termine: la incalzano da un lato le infinitamente più vaste possibilità sonore della tecnologia audio e dell'informatica musicale, che apre mondi sonori veramente infiniti e che di fatto già dall'inizio utilizza suoni "concreti", presi dal mondo reale, e li manipola con sofisticazione e finezza impossibile al mondo puramente strumentale.
Dall'altro lato la Musica Concreta Strumentale è per così dire minacciata dagli sviluppi della "Nuova liuteria", cioè da quella relativamente nuova corrente di ricerca che mira a inventare una organologia concepita appositamente per la nuova musica, cioè in poche parole strumenti nuovi, acustici, elettronici, informatici, o ibridi, pensati in funzione delle esigenze del pensiero contemporaneo che scrive con i suoni e non con le note.

Probabilmente tutte queste diverse forme di espressione musicale sono destinate a convivere in futuro, ciascuna in una propria nicchia con un proprio pubblico competente e appassionato.
Ma per quanto riguarda il problema della Forma ( e dell'Energia) le risposte sono a mio parere ancora vaghe e insoddisfacenti. Ciascuno di questi differenti stili musicali rimane per il momento troppo spesso nel campo del catalogo di suoni più o meno originali o interessanti, della "trouvaille" e dell'aneddotica successione di eventi scorrelati, interpolati da ampi spazi di sintomatico silenzio: ma la cui logica generale rimane senza direzionalità,  con una insufficiente  o addirittura del tutto ignorata gestione dell'energia. O almeno, questo è ciò che io percepisco, e che mi confermano molti amici compositori o musicisti che condividono la mia sensazione.
C'è ancora molta strada da fare. I miei  migliori auguri di buon lavoro agli intrepidi compositori e interpreti che hanno voluto coraggiosamente abbracciare questa sfida.

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