Per me, due fatti
recenti apparentemente sconnessi tra loro, ma legati da una trama sottile di pensieri personali: la
pubblicazione degli scritti di Luciano Berio, che coprono un arco temporale di
oltre cinquanta anni, e la
scomparsa di Claudio Abbado.
Due musicisti italiani,
ma cosmopoliti, e particolarmente consapevoli della necessaria coincidenza tra
la dimensione artistica e quella civile della loro professione.
Convinti che la
musica non sia intrattenimento ma autentico strumento di conoscenza e
promozione sociale.
I loro percorsi
così unici e irripetibili si sono incrociati ben poche volte, a quanto io sappia, ed é un vero peccato.
Ma che si tratti
dell’immortale e sterminato patrimonio di musica che ereditiamo dal passato e
che é nostro dovere trasmettere alle nuove generazioni interpretandolo alla
luce della cultura attuale, in modo rigoroso ma creativo e appassionato, per
evidenziarne quello che può dire alla società contemporanea; oppure che si
tratti di creare nuova musica che “parli” al mondo attuale, ne interpreti i
nodi culturali più fertili per esplicitarli in un’opera sonora anche
problematica, complessa ma densa di energie, all’incrocio tra i vari campi del
sapere, Abbado e Berio sono stati, ciascuno nella propria specifica disciplina,
due portabandiera. Un piede nel “mestiere”, saldamente ancorati alla tradizione
e al “saper fare” ai massimi
livelli, e un piede nella
strada, per andare incontro al mondo, in un’opera instancabile di agitatori, di
promotori culturali, per aprire l’arte al mondo e alla società. Perché “ la musica migliora il mondo”.
Luciano Berio
manca da più di un decennio, ma io ho l’impressione che nessun altro
compositore/intellettuale abbia ancora saputo continuare lo sviluppo delle complesse
tematiche interdisciplinari da lui delineate in una carriera di più di 50 anni;
e Claudio Abbado lascia dietro si sé un vuoto che al momento sembra
incolmabile, non solo per le vette interpretative che ha saputo raggiungere in
un repertorio vasto e diversificato (dal Melodramma al Romanticismo al Novecento
storico e così via) ma anche per la capacità unica di farsi “organizzatore di cultura”, fondando
orchestre, promuovendo iniziative
che fanno della musica strumento di crescita del sentimento di comunità (come egli
amava spesso dire) e di condivisione di valori umani e civili.
Di fronte a queste
due carriere a loro modo esemplari, mi sono posto una domanda forse ingenua: se
queste due personalità così carismatiche e incisive, così lucide e determinate
fossero oggi all’inizio della loro attività, diciamo tra i 20 e i 30 anni, e si
trovassero a fare i conti con la situazione attuale, sarebbero in grado
ugualmente, pur con tutte le loro qualità artistiche e umane, di percorrere la
stessa lunga strada e realizzare gli stessi risultati?
Questa domanda
ingenua porta obbligatoriamente alla riflessione sulle conseguenze che il
contesto sociale provoca nella
cultura e nelle arti. E in questo quadro a me appare chiaro che Abbado e Berio
erano gli “uomini giusti al momento giusto”: l’ Italia della seconda metà del XX secolo,
percorsa da fermenti sociali turbolenti ma fecondi, nei quali tutti i valori, i
costumi, gli equilibri venivano rimessi in discussione, era il contesto più
favorevole per l’azione di artisti dotati di lucida coscienza del proprio
ruolo, volontà di rinnovamento, impegno civile, creatività e visione
lungimirante. Non dico che abbiano
avuto vita facile, tutt’altro: certamente hanno dovuto combattere fin dall’inizio
battaglie dure, osteggiati dai custodi di malintese “tradizioni”. Ma lo facevano
sapendo di interpretare i bisogni che la società in senso più ampio, pur in
modo confuso e contradditorio, chiedeva loro. Rinnovando metodi di lavoro,
procedure, proposte culturali
delle Istituzioni che si trovavano a dirigere.
Ma oggi?
Si può
interpretare la storia della cultura alla luce del contesto socio-economico
oppure, al rovescio, si può interpretare la società alla luce dei suoi fenomeni
culturali e artistici. Qualche volta le due dimensioni sono “in fase” , altre volte no.
Per quanto
riguarda il nostro tempo, sembrerebbe che da entrambi i punti di vista la
società contemporanea del mondo occidentale attraversi un periodo di decadenza,
sociale e artistico/culturale.
Anche se vi sono indubbiamente
nuovi fermenti artistici e vaste espressioni di un disagio profondo che non
mancheranno di emergere prima o poi con forza dirompente, provocando un cambiamento
oggi imprevedibile, il modello sociale del capitalismo post-industriale mostra finora
di non essere in grado di risolvere il problema di una meglio equilibrata distribuzione
della ricchezza, e nell’ultimo ventennio ha anche provocato la più grande,
mostruosa esclusione dei giovani dal lavoro che la storia recente ricordi: appare bloccato, incapace di rinnovarsi
in senso più “sociale”, schiavo come é della ferrea logica del “mercato”, per
il quale l’unico valore possibile delle attività umane, siano esse
manifatturiere o artistico/culturali, é rappresentato dal valore economico che se ne può estrarre a vantaggio di
privati.
In tale contesto la
“cultura” e i media ad essa legati, tranne eccezioni isolate, non paiono in
grado di offrire risposte profonde, ma si limitano da un lato alla celebrazione
talvolta un po’ museale del passato, oppure sono ripiegati in attività di
studio/ricerca autoreferenziali; dall’altro cedono alle esigenze di un mercato
dell’ entertainment che fa della
cultura e dell’arte un business più o meno analogo a tutte le altre
attività di vendita e consumo
delle merci.
Eppure, oggi più
che mai l’esempio di Abbado e Berio (che qui non abbiamo alcuna intenzione di
monumentalizzare e dei quali vediamo, oltre agli altissimi meriti, anche i limiti) appare oggi un riferimento
ineludibile per chi, da intellettuale, da “operatore della cultura” , intenda
agire per l’affermazione di valori non solo artistici ma anche civili.
In questi pochi
giorni che ci separano dalla scomparsa di Claudio Abbado, come tutti ho avuto
modo di rivedere/rileggere sue interviste, dichiarazioni, apparizione
televisive.
Fra i ripetuti
appelli pubblici che egli aveva fatto a favore della cultura, che il
contesto paludoso dei media spesso
facevano apparire rituali e forse un po’ scontati, una sua piccola frase detta
in modo semplice durante una conversazione con l’intervistatore mi ha
profondamente colpito:
“ QUANDO UNA COSA É GIUSTA SI FA, E BASTA. Poi i problemi si risolvono facendola” .
Ecco: alla base di tutte le grandi, spesso
utopistiche imprese che Abbado ha realizzato, c’é questa convinzione intima, e il conseguente coraggio di
sfidare gli ostacoli, le tradizioni
consolidate, le mille resistenze, sapendo di basarsi su un paradigma
valoriale necessario, utile alla comunità, per rendere il mondo un po’ migliore.
Si dirà che Abbado,
col suo indiscusso prestigio, poteva mobilitare risorse economiche e istituzionali
ingenti con le quali supportare adeguatamente i suoi sogni: ciò non é del tutto
vero (ci sono state sue iniziative che non hanno avuto lo sviluppo sperato) ma
sopratutto, come ho detto più sopra, tutta la sua vicenda professionale é stata
vissuta con questo coraggio e determinazione, anche agli inizi, quando non
godeva certo del riconoscimento unanime che oggi gli viene tributato, e quando convincere gli altri era molto
più difficile.
Allo stesso modo
Luciano Berio é stato un intellettuale capace fin dall’inizio di far convivere
la propria intensa attività compositiva con una grande capacità di
organizzatore e promotore di iniziative di divulgazione, di coinvolgimento di
un più ampio pubblico. Basti
pensare alla serie di trasmissioni
RAI “C’é musica e musica”,
ancora oggi un modello
insuperato di divulgazione della cultura musicale più complessa
attraverso il medium più popolare che esista, la televisione.
In conclusione,
quale potrebbe essere per noi oggi
la “svolta epocale” che stiamo vivendo?
E’ probabile, anzi
sperabile, che in breve tempo le tensioni latenti nella nostra società
apparentemente congelata, bloccata come un Narciso che si specchia nel proprio riflesso, si sprigionino di colpo provocando cambiamenti
oggi imprevedibili. E’ successo così nelle recenti “primavere arabe”, perché
non potrebbe succedere anche nel nostro continente? Ma nel frattempo, e per far sì che questo cambiamento ogni
giorno più urgente possa essere accelerato, mi pare più che mai doveroso
ricordare Claudio Abbado e la sua opera facendo mia quella sua semplice, piana
frase:
Quando una cosa é giusta si fa, e basta.
Certo, bisogna
anche essere in grado di riconoscere quale é la cosa giusta da fare: ma
mi pare che il primo passo per capirlo sia quello di non fare confusione tra la - pur legittima- ambizione personale e la consapevolezza che il nostro mestiere,
fare musica, ha senso se diventa veicolo per la costruzione di una
comunità: in primo luogo chi
lavora con noi, poi il pubblico
che ci ascolta, infine, nel senso più
lato, la Società.
Perché la musica
fa il mondo migliore.
che bello,mi piace molto.Una bella occasione per ricominciare potrebbe essere quella di riunire le forze,di chi ha capito che la musica non è solo per pochi eletti,così come Abbado e anche Berio hanno sempre sostenuto.Se non roa,quando? ;) Posso pubblicare su fb? Cristina Barbieri
RispondiEliminamolto interessante...scritto con lucidità notevole. L'unica cosa che non condivido é l'esempio delle "primavere arabe".
RispondiEliminache secondo me non sono assolutamente un' espressione spontanea della volontà di cambiamento bensi' il risultato di macchinazioni diplomatiche e geopolitiche...