"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


"Musica est exercitium aritmaeticae occultum nescientis se numerari animi“

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"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

mercoledì 21 settembre 2011

Ma davvero il pubblico odia la musica "classica contemporanea" ?

Mi dispiace di arrivare con molto ritardo su questo argomento. Probabilmente ne avrete già saputo da altre fonti, o vi sarete già fatti un idea. Ma non posso rinunciare ad aggiungere qualche mia riflessione, perchè la questione è davvero importante. 
Con un articolo  apparso il 28 novembre 2010 su The Guardian, ( QUI la versione originale , e QUI la traduzione italiana ), Alex Ross, critico musicale del New Yorker, autore dell'informatissimo blog The rest is noise,  oltre che del famoso libro omonimo, tenta di rispondere alla vexata quaestio che da decenni tormenta la coscienza di compositori, direttori artistici, musicisti e musicofili appassionati. 

Ross avanza le seguenti argomentazioni :
1) la frattura estetica iniziale tra pubblico e avanguardie è sempre esistita (tenuto conto del contesto storico in ogni momento), ma nel caso della musica tende a persistere nel tempo. Ad esempio, molte opere visive o pittoriche di celebrati artisti del '900 che erano state accolte, al loro primo apparire, solo come provocazioni, qualche decennio più tardi sarebbero entrate, dalla porta principale, nell'Olimpo dell'Arte Occidentale; mentre ancora oggi il pubblico dei concerti sembra sopportare solo per convenzione sociale il supplizio dell'ascolto di certe opere musicali "contemporanee". 
Qui Ross sembra voler indicare che la musica, a causa di qualche sua caratteristica ontologica, ha una particolare difficoltà di fruizione, che altre discipline artistiche non hanno. Certo questa difficoltà esiste: è indubbiamente necessaria una certa competenza dell'ascolto per poter apprezzare composizioni che trovano apparentemente solo in se stesse la propria coerenza linguistica, che inventano il proprio vocabolario da capo ogni volta. Ma questo vale anche per le arti visive: è necessaria una certa conoscenza per apprezzare Picasso o Kandinskij, Vasarély o Klee o Mondrian.. dunque dove è  la differenza? Mi sembra che a Ross sfugga un argomento a mio parere decisivo, di cui curiosamente non fa menzione: il potere del Mercato, il valore economico delle opere.  
Non si può ignorare che un quadro, una scultura, sono un oggetto fisico, quasi sempre unico, che il collezionista può acquistare anche a carissimo prezzo - secondo  la quotazione del momento - e mettersi in casa per goderne in esclusiva e farne così uno  status symbol sociale, mentre invece la musica non esiste fisicamente, se non nel momento dell'esecuzione. Certo, un pezzo di musica ha anche un supporto fisico, e un musicofilo può ancora - se è  molto, molto fortunato- entrare in possesso di qualche partitura autografa di antico autore importante, non ancora custodita presso biblioteche pubbliche o archivi di Fondazioni private... però nemmeno quello  è il vero "possesso" dell'oggetto musicale, ma solo del suo codice tecnico, del suo manuale di  montaggio, per così dire. Oppure può acquistare l'Opera Omnia in CD o DVD di un determinato autore. Ma sa che quei supporti tecnologici sono copie di copie, replicati in migliaia, milioni di esemplari in tutto il mondo. Anche qui, l' autentico "possesso" dell' opera musicale sfugge al desiderio dell'appassionato. L'unico modo per possedere davvero una musica sarebbe forse quello di finanziare direttamente un'orchestra, un ensemble, un solista, pagare un compositore per scrivere  musica in esclusiva per quell'orchestra, e infine possedere l'auditorium o la sala da concerto nella quale far eseguire l'opera. Tutto ciò avveniva normalmente fino a qualche centinaio  di  anni fa, ma oggi è forse ancora possibile solo per qualche dittatore, o alto papavero della finanza internazionale. La musica insomma è un'Arte pubblica per eccellenza, è fatta per essere condivisa socialmente, e non si adatta alla pulsione elementare che muove il mercato: il possesso esclusivo di un oggetto del desiderio. 
Già mi immagino però la replica di  qualcuno: esistono generi musicali che hanno un largo  mercato (CD, concerti, gadgets, royalties..) e generano grandi profitti. Vero. Ma, con tutto il  rispetto, l'argomento qui è fuori tema: qui si discute di musica moderna e contemporanea non immediatamente consumabile, che richiede all'ascoltatore un qualche sforzo di déchiffrage linguistico.

2) Continuando nel confronto tra musica e arti visive, Ross scrive, in un passo  dell'articolo : "il pubblico di un concerto è essenzialmente intrappolato al suo posto per un periodo ben preciso, e per questo tende a non apprezzare opere poco “familiari” rispetto ai visitatori di una galleria d’arte, che possono invece muoversi liberamente e confrontare le immagini secondo un proprio ritmo." 
Questo è sicuramente vero: la fruizione della musica da concerto è, fisicamente parlando, passiva. Ma forse è giusto che sia così, perchè l'ascolto attento che la musica richiede può realizzarsi al meglio quando si è comodamente seduti e in condizioni acustico/visive ottimali , come nelle migliori sale da concerto. Non puoi ascoltare come si deve i Tre pezzi da Wozzeck  di Alban Berg stando in piedi, schiacciato in mezzo a una folla agitata. Ogni forma di  espressione ha la sua condizione ideale di  fruizione. 
Ma si stanno  facendo interessanti esperimenti, in giro per il mondo: ad esempio, da qualche anno alcuni festival di musica "d'avanguardia" più avveduti propongono "eventi" musicali durante i quali si può assistere a multiple esecuzioni in contemporanea, dei più diversi generi, che si svolgono in vari spazi di uno stesso luogo (opportunamente isolati fra loro)  e ai quali il pubblico ha libero accesso e può entrare, uscire, ritornare a piacere, come nelle sale di una galleria d'arte. E' senza dubbio un interessante, innovativo modo per offrire ad un pubblico diversificato, anche e sopratutto di non-addetti-ai-lavori, una palette più variegata di proposte, una specie di riassunto dello stato-dell'-arte della musica, attraverso il quale si possono conquistare nuovi ascoltatori. La controindicazione è l'inevitabile dispersività di  simili iniziative, che rischiano (sottolineo, rischiano) di assomigliare a dei "supermarket della cultura", e adeguarsi ad una modalità superficiale, deconcentrata della  fruizione musicale. Non ho più  bisogno di concentrarmi nell'ascolto di un opera, perchè se non mi "acchiappa" immediatamente posso sempre andarmene nella sala attigua e vedere se trovo  qualcosa più adatto ai miei gusti. Una modalità tutto sommato coerente con i nostri tempi meno propensi alla calma riflessione interiore, allo "sforzo" intellettuale,  e più al consumo usa-e-getta.  

3) L'esempio, citato da Ross, dell'uso della musica contemporanea in popolari film di celebrati registi, (Ligeti per Kubrik, Feldman e Scelsi per Scorsese) è l'esempio paradossale di come un certo  linguaggio musicale complesso possa essere ben recepito, se "somministrato" attraverso  il cavallo di Troia del film!  Ma questo, con ogni  evidenza, non è un argomento. La gente non va al cinema per ascoltare il soundtrack di un film. Semplicemente, apprezza il valore aggiunto di un soundtrack efficace o particolarmente evocativo (come Ligeti in Kubrik), ma a patto che non debordi dal suo compito: appunto, Begleitmusik für eine Lichtspielszene.

4) ed ecco l'argomento-killer di Ross: "Più che altro, i compositori moderni sono vittime di una lunga tradizione di indifferenza che affonda le sue radici nell’idolatria per il passato degli esperti di musica classica."
Verrebbe da dare ragione al vecchio Nietzche, che parlava di malattia della storia.
Non ho le idee perfettamente chiare, ma istintivamente concordo. Credo anche io che qui sia il cuore del problema : una civiltà, la nostra, seduta sulle proprie sedimentazioni/abitudini culturali, sul proprio (troppo alto, troppo consumistico) stile di vita, sui propri riti e miti consolatori, che concepisce tutto ciò che non è parte della incombente cultura tecnologica/scientista come un eredità essenzialmente museale, da ritualizzare e conservare,imbalsamata, sotto vuoto. Qui non si tratta di negare, assolutamente, l'enorme valore della musica "classica", che rappresenta davvero la storia della nostra civilizzazione, l'incarnazione della nostra coscienza collettiva, la fonte inesauribile di emozioni e seduzioni estetiche altissime. Si tratta però di farla uscire (con  tutta la cautela e il rispetto dovuti) dalla campana di vetro, reinserirla nel circolo delle idee contemporanee, farle respirare aria nuova, metterla al confronto dialettico con il pensiero attuale, affiancarla a composizioni che la sfidino sul piano formale, linguistico, semantico. Ross ha perfettamente ragione nel dire : "Per costruire il pubblico del futuro, le istituzioni classiche dovrebbero creare più legami inaspettati tra generi diversi."

Ma io vorrei aggiungere - in cauda venenum- una osservazione mia: i compositori devono anche loro, finalmente,  uscire allo scoperto, "un piede nella bottega e un piede nella strada" (copyright Luca Francesconi) e misurarsi NON SOLTANTO con i gadgets tecnologici che ogni giorno vengono messi  a disposizione, ma raccogliere la sfida di parlare alla gente con  emozioni musicali. Siamo stati  tutti, e molto a lungo, chiusi, autoemarginati nel laboratorio dell'ingegneria strutturale musicale. Abbiamo studiato molto, e imparato  a maneggiare materiali e tecniche innovative, feconde, piene di inedite possibilità espressive. 
Ora è finalmente arrivato il momento di tornare a costruire case musicali per le gente che ci deve andare ad abitare.
Diamoci da fare, prima che la storia ci renda del tutto ininfluenti. 






8 commenti:

  1. Credo di poter rintracciare tra i fattori responsabili di questa disaffezione verso la musica contemporanea colta ( che Berio definì "esatta" e non colta!!) una certa disumanizzazione del fatto musicale. per disumanizzazione intendo dire un particolare atteggiamento di molti compositori nel cercare: un estremo ermetismo (già il termine presuppone una comprensione superiore alla quale può arrivare solo l'"iniziato" ad esempio), una deflagrazione del suono e del tempo, un concettualismo esasperato...:quando ad esempio per poter dimostrare il progresso scientifico e tecnico si è scritta musica a frequenze tali da poter essere ascoltata soltanto da un pubblico di pipistrelli (sic!), oppure il famoso "4'33"" di Cage (concettualmente affascinantissimo tra l'altro). uno dei fattori importanti, a mio parere, è il completo abbattimento del concetto di ritmo, che forse poi è stata la prima esigenza musicale dell'uomo. Ma c'è dell'altro: bisogna anche ricordare che negli anni 50'-80' la novità e la complessità erano sinonimi di progresso artistico e culturale, ed erano IMPOSTI come criteri superiori per convalidare la composizione colta da concerto: su basi politiche ed ideologiche chi prima avversò qualsisai forma di imposizione divenne il carnefice di qualsiasi altra forma di espressione: esempio più chiaro la figura di LEONARD BERNSTEIN, forse il più grande musicista a tutto tondo che il secondo novecento ci ha donato, eppure avversato e praticamente considerato di serie B in quanto autore, reo del fatto di essere preminentemente TONALE!!!!!! (basti pensare che la première scaligera della sua godibilissima CANDIDE, è stata eseguita solamente quattro anni fa!!). Certo è che non si può comunque correre il rischio di uccidere la Musica e le menti con i lavori assolutamente demagogici e populisti (e quanto mai antimusicali!!!) dei signori Neoromantici, Neotonali, e Neo, neo, neo neo.. purtroppo oggi molto in voga!!!
    C'é una sola parola a mio parere che potrebbe "salvare" la musica contemporanea: DILETTO. Il diletto non come categoria stilistica ma semplicemnte come modo attraverso il quale vivere la musica, non pensare solo e necessariamente alla musica come ad un mezzo per: disquisizioni di carattere antropologico (anche), di denuncia sociale (anche),di dramma psicologico (anche), di morte (anche)...ma anche come un momento di gioia, di unione, di fruizione di qualcosa di bello,di divertente non sempre di oscuro...Il COMPOSITORE dovrebbe ricordare di essere un uomo che scrive per gli uomini, e che con questi è alla pari..ed invece ahimè il COMPOSITORE da anni appare più come un eone, un'emanazione di divina,"..e par sia cosa venuta da cielo in terra a miracolo mostrare.." (cit. Dante).. no, non è così, la musica consta di "suoni umanamente organizzazati" (John Blacking)ritorniamo all'umano!! SESTO QUATRINI

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  2. Grazie Sesto del commento , e benvenuto .
    Concordo nella sostanza , con una distinzione : la musica "vera" è a mio parere innanzitutto fonte di conoscenza, nel senso più ampio .
    Tra le modalità della conoscenza vi è anche, ma non solo, il diletto.
    Questo forse riapre un po' il problema , ma temo che non vi siano scorciatoie. un abbraccio . Renato

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  3. Certamente si, credo tu abbia ragione... anche e non solo... ma entrambi sappiamo che nell'ambiente che frequentiamo il diletto è quasi sempre escluso!!
    Grazie e complimenti per il blog...molto molto interessante!!
    un abbraccio a te. Sesto

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  4. grazie 6° , continua a leggeri allora . Oppure mandami qualche suggerimento , ho aperto il blog apposta per avere un confronto con colleghi e persone interessate , non per mettermi in mostra ...
    a presto !

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  5. "...Per costruire il pubblico del futuro, le istituzioni classiche dovrebbero creare più legami inaspettati tra generi diversi..."

    Non credo Renato. Se vado a sentire Stockhausen non sono nelle stesse condizioni psicologiche nelle quali mi trovo quando vado al concerto dei Circle Jerks, cosi´ come quando vado a una mostra di Richter sono concentrato sul suo lavoro e non voglio stare a sentire Cattelan (e viceversa). Quando al Barbican anni fa, hanno fatto Stockhausen in prima serata e Aphex Twin dopo mezza notte si e´ secondo me trattato di una operazione piu´ dell´ufficio marketing che altro. Contesti e generi non sono gli uni migliori degli altri ma sono cose differenti che non possono essere messe insieme.

    Siamo andati per anni a sentire concerti pessimi dal punto di vista musicale o che con la musica non centravano forse niente o molto poco (le Poison Girls usavano gli strumenti musicali per romperli in testa al pubblico piu´ che per suonarli) ma chi organizzava i concerti era bravo, c´era empatia. Quello che alle istituzioni classiche e contemporanee statalizzate manca. Empatia.

    I comunicati del CEMAT fanno addormentare. Quando si dice al pubblico, che J.C. Risset fa´ ascoltare gli esempi di psicoacustica su uno stereo di plastica da 15 watt, pur essendoci affianco un auditorium, ma il bidello che ha le chiavi del quadro per accendere l´amplificazione non lavora il sabato, non si crea empatia. Sono storie da Acquedotto Pugliese o da Trenitalia. Il pubblico la volta dopo va da un´altra parte oppure vi manda anche al diavolo. Facendo ovviamente un torto a quanto di buono c´e´.

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  6. Innanzitutto vorrei ringraziare il maestro Rivolta di fornire sempre degli spunti interessanti e soprattutto, di aver creato questo luogo di dibbattito. In secondo luogo, vorrei dire che sono veramente amareggiato dal fatto che è sempre il disappunto a muovermi al commento.
    Detto ciò mi esprimo:

    L'artista deve essere assolutamente libero o perlomeno, il più possibile e sono le persone a doversi adeguare, a maturare curiosità per il diverso. L'artista non deve fabbricare case, deve esprimere un pensiero anche e soprattutto inabitabile perché è nell'inabitabilità la vera esperienza d'ascolto. A mio modo di vedere l'artista deve inquietare, deve estraniare, non pacificare. Il percorso deve essere irto d'ostacoli perché deve modificarci. Vedo una sorta di docile violenza nel gesto artistico.
    Per me, concordare con una musica a misura di massa sarebbe come dire: nelle chiese non va più nessuno?, trasformiamole in bordelli.
    Il museo e la sala da concerto, ogni luogo in cui v'è un'opera d'arte, sono templi. Se muore il sacro (e non parlo certo di religione), l'arte muore con esso.
    La nostra colpa più grave è quella d'aver bruciato, soprattutto col consumismo, ogni qualsivoglia senso del sacro.
    Che senso avrebbe l'arte in un mondo completamente dissacrato? e in un mondo in cui l’artista deve assoggettarsi alla società anziché esserne il punto critico?

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  7. Vorrei soltanto precisare che la sacralità ch'io intendo non sta nell'autore il cui genio od estro non va affatto divinizzato ma nel mistero dell'opera (ché ogni opera rappresenta l'enigma d'una -e della- nascita).

    P.S. scusate la svista del commento precedente, m'è sfuggita una b in più in "dibattito".

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  8. mi introdurrei nei commenti perché sono d'accordo un po' con tutti quanti, in particolar modo con l'autore dell'articolo. Secondo me però il pubblico non apprezza la musica contemporanea perché essa oggi ha un'immagine troppo "accademica", non so se mi spiego...secondo me alla gente non piace l'atteggiamento di certi compositori, rinchiusi nella loro torre d'avorio e carichi di altezzosità...o almeno questo è solo quello che appare, non è detto che sia per forza così. Vivendo a Bologna per studio però ho scoperto una realtà interessantissima: sia chiama Miraloop ed è un'etichetta indipendente che si occupa di vari generi musicali, tra cui la classica contemporanea, la sperimentale, l'acusmatica, l'elettronica, ecc...ho scoperto che grandi maestri come Francesco Giomi o Andrea Portera hanno pubblicato per Miraloop!!!!!! ero contentissimo...contentissimo anche del modo in cui i responsabili di miraloop si occupano di diffondere e promuovere queste composizioni, puntando sia ai giovani (youtube, social network, itunes, vendita online) che ai meno giovani. No dico, date solo un'occhiata al canale youtube e sentite che pezzi: http://www.youtube.com/user/MiraloopDiamonds. Penso sia una goccia nell'oceano ma almeno c'è qualcuno che non sta solo a lamentarsi dei tempi che corrono ma agisce, senza cadere a bassi livelli, valorizzando la musica vera, umana o concettuale che sia. Non che così il pubblico possa capirla al 100% ma magari cominciare a pensare che è meno imbolsita di quel che sembra.
    Lorenzo.

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