"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


"Musica est exercitium aritmaeticae occultum nescientis se numerari animi“

- G.W. Leibniz


"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

mercoledì 13 settembre 2017

"Pina, io ti stimo moltissimo"



Il Domenicale del 3 Settembre 2017 del Sole24 ore si apre con una lettera inedita che Luciano Berio scrisse nel 1977 - 40 anni fa- al musicologo Massimo Mila.
Come sempre il pensiero di Berio spicca per lucidità e per intelligenza. Qualunque cosa si possa pensare della sua musica, mi pare innegabile che fosse un Maestro, che aveva capito molte cose prima e meglio di altri.
A che punto siamo 40 anni dopo?
Oggi il panorama musicale contemporaneo appare molto più differenziato, ma anche più confuso. Si sono persi punti di riferimento, criteri di giudizio, e se dovessi riassumere in una formula semplicistica il mio sentimento prevalente, direi che siamo immersi nel gioco di specchi fantasmagorico del postmodernismo, che è frutto di un Pensiero Debole, molto debole.
Non per questo però ho nostalgia per quegli anni. Non si torna indietro, mai.
Ma non posso far a meno di domandarmi, da musicista e da comune amante della musica, la domanda più banale e ingenua possibile, quella che probabilmente si pone l'ascoltatore non addetto ai lavori: perché quasi nessuna opera del secondo novecento ( quello delle "Avanguardie") mi commuove fino alle lacrime e mi prende allo stomaco come fanno invece Mahler, Strauss, Stravinskij, Bartók, Shostakovic ecc?
Lo so bene che i presupposti culturali, sociali, poetici, linguistici, estetici delle Avanguardie sono completamente diversi, e lo sono per una scelta ben cosciente.
Ma rimane il fatto che l'apprezzamento delle opere di Berio e di molti altri compositori suoi contemporanei rimane per me quasi sempre nei confini di un ascolto di tipo razionale e non viscerale, non istintivo: conosco i presupposti, le ragioni teoriche e pratiche -e financo politiche- per le quali la sua musica è fatta così e non in altro modo, in alcuni casi conosco la genesi tecnica delle singole opere, le problematiche linguistico/formali delle quali provano a essere una soluzione.
Ma l'oggetto sonoro in sé quasi sempre rimane in buona parte FUORI di me, non mi travolge, non penetra in profondità nella mia anima musicale, apparentemente non mi lascia godere, se non attraverso il veicolo razionale della conoscenza consapevole, di un godimento giudicante, discernente, vigile.
Lo so, lo so benissimo che si potrebbe rispondere: la temperie estetico/culturale del tardo Romanticismo di Mahler e di Strauss è radicata profondamente in noi, ne siamo figli e nipoti, usa un linguaggio che, per quanto allargato e lacerato in mille modi, è ancora quello che ci viene in eredità da secoli di storia della musica, è nei nostri cromosomi a tal punto che i suoi simboli non li percepiamo piu in quanto tali, cioè unità semantiche veicolo di significato, ma solo come gestalten autonome, che hanno perso per le nostre orecchie la natura di "veicolo" e ormai coincidono tout-court con ciò che significano: il processo di identificazione affettivo/emotiva è perciò istantaneo, senza mediazione, e SEMBRA "naturale". Per questo - lo dico semplificando in modo intollerabile- vanno dritte allo stomaco, e sembrano non aver più bisogno di passare per il vaglio decodificante del cervello: sono ormai riflessi condizionati, non mediati.
Al contrario, la musica "contemporanea" nasce da una rottura estetica deliberata, e generalmente richiede un ascolto "strutturale" consapevole, certo più aperto, ma anche più competente.
Credo che questo sia il prezzo che paghiamo, nella situazione storica attuale, perché la musica di oggi continui a evolvere (non necessariamente in senso "progressista": ma evolvere come succede a qualunque altra cosa umana, cioè cambiare, non stare mai ferma, come è giusto che sia).
Alla musica "contemporanea" sembra che siamo costretti - per ora- a dare la stessa risposta che il rag. Fantozzi Ugo dà alla moglie che gli chiede se la ama :
"Pina, io ti stimo moltissimo".

NON C'È NIENTE DA VEDERE



Se nella Pop Art (Brillo Boxes, Marilyn, Kennedy, Campbell Soup, CocaCola, banconote, graffiti ecc.) "l'oggetto banale, la copia di oggetti o di immagini di uso comune, creato intenzionalmente per diventare un'opera d'arte non è riconosciuto in quanto Opera d'Arte che dentro un contesto storico e sociale determinato, e solamente se è sottomesso a una interpretazione teorica e filosofica suscettibile di giustificare l'interesse che gli si porta (...); se senza giustificazione filosofica tale oggetto sarebbe irrimediabilmente condannato a essere gettato nella spazzatura" (cit. Marc Jimenez - "la querelle de l'art contemporain");
se nell'Arte Concettuale poi sparisce l'oggetto materiale stesso, e il senso dell'Opera migra dall'Oggetto al Soggetto fruitore, al quale è interamente devoluto il compito di decidere della natura artistica del concetto stesso, e di decrittarne a piacimento il "significato" - se ne ha uno;
ALLORA è lecito chiedersi quale senso abbia esporre questi oggetti nei musei e nelle gallerie d'arte, dato che, come gli stessi autori in fondo dicono, NON C'È NULLA DA VEDERE.
Nessuna perizia artigianale, nessuna "aura autoriale" perché spesso l'oggetto, quando ancora sussiste come nel caso delle copie di oggetti di uso comune, non è prodotto materialmente dall'artista ma da altri per lui - laboratori industriali, fabbriche di manifatture o altro-, nessuna volontà di esprimere valori tradizionali quali la "bellezza" estetica o altri valori intrinseci alla sua fattura materiale, che il pubblico possa apprezzare osservandolo.
A questo punto, mi domando se non sarebbe in fondo più coerente NON ESPORRE, non organizzare mostre nelle quali allineare oggetti o meta-oggetti che in quanto tali non hanno alcun valore. Sarebbe invece più coerente, più fedele al pensiero degli artisti limitarsi a fornire al pubblico un saggio in forma stampata o una conferenza con i quali comunicare i concetti-base di queste correnti artistiche, e suscitare su di essi delle discussioni pubbliche. 
Sappiamo tutti che dopo Duchamp in arte e dopo Cage in musica, si sono aperte le cataratte ed é venuto giù tutto. E' venuta l'epoca del "n'importe quoi".
Ma sarebbe superficiale limitarsi a una condanna sdegnata della scomparsa della "Bellezza", come
alcuni fanno. Perché quello che é accaduto da là in poi non é la Morte dell'Arte, ma la scomparsa di un certo modello di Arte che aveva retto per secoli. Se per Hegel il destino dell'arte é quello di trasformarsi in filosofia, che a suo parere é la forma di conoscenza più alta e più complessiva che sia data all'umanità, allora con la svolta del Concettuale siamo pienamente nella filosofia, e la "profezia " di Hegel sembra sul punto di realizzarsi.

Ma poi quando vedo la gente che fa lunghe code e paga biglietti per andare a vedere una mostra di "opere" di Andy Warhol, mi dico che forse sono tutti vittime di una colossale presa in giro. Ben che vada, di un enorme equivoco.
Non c'è proprio niente da vedere, lì.
Al massimo, si celebra inconsapevolmente il rito di massa della finanziarizzazione del mondo e della vita.

LA RAI E LE MUSICHE DEL XXI SECOLO



Pur con tuttle sue lacune, RAI Cultura manda in onda spesso cose interessanti sull'arte contemporanea: arti visive, architettura, danza, teatro, cinema : ma niente sulla musica. Mi sembra molto strano. Se ne saranno accorti i cervelloni di quel canale? Si saranno posti la domanda ? Per chi vede Rai cultura, la musica consiste di tre cose : l'opera lirica, la musica sinfonica classica, e per le musiche di oggi il rock, con le sue numerose ramificazioni e sottogeneri.
Ora io mi domando perché alla Rai, che dall'anno scorso con l'inserimento del canone nella bolletta dell'elettricità ha avuto un fortissimo incremento delle risorse a propria disposizione, non sia venuto ancora in mente a nessuno che sarebbe ora di produrre un nuovo programma-inchiesta sulla situazione delle musiche d'oggi: di tutte le musiche, inclusa la musica "colta"contemporanea. Naturalmente lo dovrebbe fare senza steccati estetici e senza pregiudizi intellettuali. E la cosa mi meraviglia ancor di più perché il "format" di successo di un tale programma-inchiesta la Rai lo possiede da decenni, e si chiama "C'è musica e musica". Lo aveva coordinato e presentato Luciano Berio, più di 40 anni fa ormai.
Cosa manca alla RAI per decidersi a colmare questa lacuna, dopo tanti anni da quel programma così importante? Le idee? La volontà "politica"? Un compositore o un musicologo intelligente che conosca il medium e che che come Berio sia capace di coordinare il tutto in modo semplice e senza intellettualismi?
Insomma, la RAI é o non é servizio pubblico? 
Io capisco che questo mio post é una vox clamans in deserto, e che finché non si rovescerà il paradigma del "mercato" come bussola di ogni decisione culturale saremo destinati a una corsa verso l'abisso.
Ma continuo a ritenere - forse ingenuamente, può darsi- che per fare un programma-inchiesta di quaiità non servono investimenti industriali, ma FANTASIA, creatività e capacità di usare il linguaggio giusto, pur con mezzi scarsi. il buon vecchio adagio: far di necessità virtù.
Quanto al pubblico: pensare al telespettatore medio come un minus habens privo di curiosità e refrattario agli stimoli culturali nuovi é proprio quell'atteggiamento che produce l'abbassamento progressivo del livello qualitativo della programmazione.
E' tutto da dimostrare - a mio modesto avviso da non addetto ai lavori - che un programma ben fatto, creativo, semplice, che proponga in modo vivace (come lo faceva Berio) i protagonisti delle musiche di oggi, collegandoli in un affresco ben congegnato, mettendone in luce assonanze e dissonanze, analogie e influenze con altre discipline artistiche eccetera, interessi solo "una fetta esigua tra noi che paghiamo il canone". Ma quand'anche così fosse, la Rai deve decidere cosa é: se é una tv commerciale oppure un servizio pubblico con la "mission" di offrire il ventaglio più ampio possibile di prodotti culturali, anche se non per il grandissimo pubblico. Poi ci vorrebbe anche una riflessione su cosa sia questo "pubblico", nell'epoca in cui abbiamo a disposizione centinaia di canali tematici, tutti con shares esigui.
Amici, é necessario che chi ha in mano qualche possibilità di invertire la rotta si faccia coraggio e inizi a martellare, nei luoghi dove si prendono le decisioni.
Oppure nessuno dei nostri musicisti e musicologi - che con la Rai collaborano e che certamente avrebbero almeno la possibilità di lanciare l'idea - ha voglia di impegnarsi in questa sfida? Perché non si fa ?
Anche perché, quando ad es. capita che vada in onda un concerto sinfonico (di Rai torino o di S. Cecilia) nel quale disgraziatamente c'é anche un pezzo contemporaneo, e questo non viene presentato, non si dice nulla nè dell'autore nè dell'opera, il risultato é imbarazzante, addiittura controproducente.



ARTE COPROFILA - POUR EN FINIR AVEC L'HUMANISME



ARTE COPROFILA- POUR EN FINIR AVEC L'HUMANISME

Cari amici, se vi interessano le cose dell'arte contemporanea, e se i barattoli di "Merda d'artista" del nostro Piero Manzoni degli anni '60 vi hanno sollevato qualche legittimo interrogativo o curiosità, allora questa cosa di Wim Delvoye vi manderà in estasi.
Si chiama CLOACA© ed è una raffinatissima macchina per fare....la cacca.
Cioè da una parte le si dà da mangiare a strafottere, senza limiti; lei da brava rumina, digerisce, decompone, ha nella "pancia" tutti i suoi begli enzimi e acidi e batteri come nel nostro apparato digerente; e dall'altra parte, alla fine del processo, Cloaca© produce degli stronzi che - a detta di chi l'ha vista in azione- sono perfettamente realistici, e autentici anche dal punto di vista olfattivo.
Ora io vi devo confessare che questa macchina mi affascina in massimo grado, e per più ragioni.
Innanzitutto per la fantastica perizia tecnologica di chi ha saputo progettare una macchina che riproduce perfettamente i complessi processi chimici digestivo/intestinali della fisiologia umana. È una bella sfida progettistica, vinta alla grande.
Poi, l'idea mi ipnotizza, mi cattura per l'ovvio contrasto radicale tra la complessità tecnologica e la sua totale inutilità, gratuità: è vero che le "macchine inutili" di Tinguely avevano già abbondantemente percorso questa tematica, ma qui c'è qualcosa in più, e più disturbante: se cercate on line altri video, ne troverete uno dove uno stuolo di veri chef prepara "da mangiare" per Cloaca© delle pietanze raffinate, un intero menù pantagruelico, infinito, poi lo scarica alla rinfusa con le mani e con i mestoli su un nastro trasportatore che convoglia tutto "in bocca" a una versione enorme, gigantesca di Cloaca©; la quale poi da brava, dopo un po' (il tempo che ci vuole ) fa comparire sul nastro trasportatore dall'altra parte uno stronzo bellissimo, lungo metri e metri, per la gioja degli astanti ( forse un po' meno per le loro narici).
Insomma una specie di banchetto di Trimalcione come nel Satyricon di Fellini, più, allusivamente, la pulsione di morte del famoso film di Ferreri "La Grande Bouffe".
Solo che qui la protagonista è una povera macchina inanimata, il che rovescia in farsa qualsiasi interpretazione psicologista sulla pulsione autodistruttiva e sul celeberrimo triangolo libidico sesso-cibo-morte, eccetera. Tutta la cosa diventa una goffa, ridicola caricatura. Ma anche terribilmente tragica e realistica. Io ne sono affascinato, ipnotizzato, sconvolto, rimango senza parole come davanti a una epifania numinosa.
E credo che sarebbe ancora più tragico e disturbante se la macchina fosse un automa dalle fattezze umane perfettamente imitate. Dovrò trovare il modo di suggerire questa idea all'artista, se non ci ha già pensato lui. 
In terzo luogo, tutta questa faccenda apre abissi insondabili quanto affascinanti sullo statuto dell'arte contemporanea, sul suo ruolo nella società (se ne ha uno) e sul Sistema dell'arte: artisti, gallerie, musei, mercato dell'arte, influenza dei media, ricezione del pubblico, e così via all'infinito.
C'è qualcosa di veramente geniale in CLOACA©, e al tempo stesso di terribilmente "Unheimlich".
E' l'anello che mancava per chiudere il cerchio. È il trionfo finale è definitivo della tautologia ontologica nichilista di certa arte contemporanea. Una circolarità perfetta, arte-denaro-merda- arte e così via ad libitum ad infinitum
Un mistero insondabile che mi porterò dietro finché campo.

P.S. Leggo che l'artista colombiano Fernando Pertuz "in una galleria d'arte defecò di fronte al pubblico, poi con grande solennità passò a ingerire le proprie feci". Sembra che apparentemente qui si tratti di una performance analoga ( ma rovesciata: prima ci sono le feci, poi queste diventano "cibo"), invece no. Qui non c'è sublimazione artistica, c'è solo banalità,volgarità, provocazione gratuita secondo me