"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


"Musica est exercitium aritmaeticae occultum nescientis se numerari animi“

- G.W. Leibniz


"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

martedì 27 dicembre 2011

LA MUSICA CONTEMPORANEA E' MORTA.


"La musica contemporanea è morta."
Mi rendo conto che un titolo così, senza nemmeno il  punto interrogativo finale,  tanto per cominciare suona provocatorio. Innanzitutto per la sua genericità (quale "musica contemporanea"? In quali paesi?) e poi per il suo tono apodittico, tranchantNon ho qui l'intento, ne' abbastanza Esprit de géométrie, per parafrasare con argomenti completi e soddisfacenti la famosa, analoga sentenza emessa a suo tempo da Boulez riguardo Arnold Schoenberg e la sua musica. Ma chi vorrà leggere fino in fondo si accorgerà come il titolo sia una deliberata provocazione che precede un accorato appello all'ottimismo della volontà, ad onta del pessimismo della ragione. 


Dunque, premesso che intendo occuparmi principalmente della Mus.Cont. in italia, anche se il problema è comune a molti paesi europei, innanzitutto occorre chiedersi in che senso è morta: forse perchè il pubblico non la "capisce" più e ormai la rifiuta? per consunzione interna, di vecchiaia, per il venir meno della sua forza vitale, della sua "spinta propulsiva"? è morta nella coscienza delle istituzioni che hanno mancato di supportarla e promuoverla, come invece avrebbe meritato? per il generale decadimento della cultura e dell'istruzione musicale nel nostro sfortunato paese, che ha fatto sì che la maggioranza delle nuove generazioni non solo ne ignori generalmente l'esistenza, ma non ne comprenda nemmeno il senso, sentendola lontana mille miglia dal proprio "vissuto", dal proprio mondo emotivo? e infine, è morta perchè non alimenta nemmeno  interessi  puramente economici, non "muove" capitali, come invece fanno le arti visive o plastiche, con il loro specifico mercato di galleristi, musei, privati cittadini in cerca di investimenti finanziari diversificati?
Probabilmente ognuno di questi motivi è vero, ma nessuno è decisivo, e si potrebbero aggiungere molte altre cause concorrenti alla diagnosi finale.  
La questione è complessa, e apprestandomi a circoscriverne i nebulosi  contorni ho, nonostante tutta la doverosa cautela, la stessa sensazione che deve avere in queste settimane Mario Monti, il Presidente del Consiglio -mi si conceda il paragone ardito- che si trova a dover proclamare apertis verbis che il Re è Nudo ormai da troppo, troppo tempo, che siamo nei guai veri, come tutti sanno ma pochi sembravano avere il coraggio di dire ad alta voce: e che pertanto urge prendere seriamente atto della realtà e comportarsi di conseguenza, liberalizzando e aprendo il mercato alla concorrenza; e che per ottenere questo risultato saranno dolori per tutti, perchè significa che da ora in poi nessuno dovrà (dovrebbe) più sentirsi garantito e sicuro nelle proprie posizioni e rendite acquisite. 
Certamente non sono il primo a giungere a questa amara, tragica conclusione.  Semmai mi colloco in una corrente di opinione che risale ad almeno 60 anni fa - cioè fin dal battesimo di quella che comunemente si intende nel nostro paese con la denominazione "Musica Contemporanea"- e che come un fiume carsico è più volte affiorata in superficie con minore o maggior forza, nei decenni passati. E dall'ultimo vero assalto alla Bastiglia, ad opera del valoroso (?) manipolo dei Neoromantici, sono passati ormai 30 anni. Quell' assalto però, lungi dall' abbattere le mura, le  aveva solo scalfite e il crollo avviene solo adesso, più che altro per cedimento strutturale autonomo, per mancanza di manutenzione, piuttosto  che per pressione esterna.  
insomma: se oggi perfino un "insider", come il sottoscritto è da molti anni, giunge buon ultimo -preceduto da tempo da una nutrita schiera di intellettuali, colleghi, musicofili, persone comuni- a pronunciare le fatali parole, ciò significa senza alcun dubbio che l'inevitabile è  accaduto, che non siamo più al capezzale di un malato grave: siamo già alla commemorazione postuma, e forse con parecchi anni di ritardo  rispetto alla data del decesso.
Voglio però chiarire che l'oggetto della mia argomentazione non è affatto la messa in discussione del valore "artistico" o estetico della Mus.Cont.(che comprende molti grandi capolavori destinati a restare nel repertorio, oltre a  tanti altri che invece meritano di essere dimenticati senza alcun rimpianto), quanto la constatazione della radicale perdita di valore socialmente e culturalmente condiviso di questa forma di arte. 
E' importante sottolineare questa crisi di senso, questa svalutazione culturale e sociale della musica "colta" di oggi -comune però anche ad altre discipline contemporanee, in particolare quelle visive o plastiche che dir si vogliano (cft. su questo stesso blog il post intitolato "Il mondo  all'incontrario")- che arriva non a caso al suo punto culminante insieme alla crisi finanziaria globale più grave dal 1929, e come conseguenza della sua lunga incubazione: ma non è soltanto perchè non ci sono più soldi e la crisi del debito si è mangiata il Fondo Unico dello Spettacolo, di cui solo poche briciole vanno a sostentare un genere musicale che dipende in gran parte dal finanziamento pubblico. No, non è solo in questo modo che la crisi agisce: insieme  alla crisi  del debito, alla mancanza di finanziamenti per la cultura c'è una più profonda e generale crisi di prospettiva sociale.
In una parola, non c'è più il FUTURO, che è l'orizzonte specifico di quasiasi avanguardia culturale. Se il futuro scompare dalla visuale, se davanti  si vede solo nebbia, la società può reagire in due modi: nel primo comincia a guardare nello specchietto retrovisore, e ripiegando su rassicuranti nostalgie dei bei vecchi tempi andati riscopre (riadattandoli: ed ecco il postmodern) che so, le operette viennesi in costume, il musical americano, la canzone d'autore, il progressive-rock anni '70 e così via. La moda vintage è caratteristica dei periodi di disorientamento, di crisi, nei quali mancano valori forti e una prospettiva condivisa. Nel secondo caso, e questo è molto più pericoloso, quando la pressione della crisi diviene insopportabile esplode in una galassia   movimentista che può qualche volta segnare l'inizio di una nuova era creativamente feconda, ma anche distruggere le proprie stesse radici, segare il ramo su cui è seduta, disperdere il suo slancio in un velleitarismo più o meno "rivoluzionario", ma in fin dei conti sterile. 

Dunque, dopo questo lungo preambolo, riprendiamo il discorso dall'inizio.
Innanzitutto bisognerebbe mettersi d'accordo sulla definizione di "musica contemporanea".
Come già detto, per circoscrivere meglio il mio argomento, ed evitare giudizi generici o basati su dati insufficienti, mi limiterò a prendere in considerazione la situazione del nostro paese.
Per quanto riguarda i compositori italiani, propongo convenzionalmente di collocare la genesi della definizione Mus. Cont. negli anni immediatamente successivi alla II guerra mondiale, quando, con le città europee ancora in macerie, venne istituito nel 1946 il 1° seminario estivo dei Ferienkursen di Darmstadt, i  cui  numi tutelari erano i Maestri riconosciuti della Seconda Scuola di Vienna (Schoenberg innanzitutto, e poi Webern e Berg), e a cui  parteciparono da allora in poi molti italiani, tra i quali i (allora) giovani compositori che successivamente Mario Bortolotto prese in esame nella raccolta di saggi pubblicata nel libro Fase Seconda : Nono e Maderna prima di tutti, e poi Berio, Clementi, Castiglioni, Bussotti, Donatoni, il primo Castaldi eccetera; ai quali fecero seguito i loro allievi e così via, di generazione in generazione, fino ad oggi. 
E' d'altronde anche vero che nei decenni precedenti la guerra l'italia aveva dei compositori di grande valore che rappresentavano in un certo senso "l'avanguardia", ma l'isolamento del ventennio fascista prima, e le difficoltà della guerra poi, limitarono  grandemente la loro libertà di movimento e la possibilità di  entrare in contatto con la comunità internazionale dei musicisti, come invece fu  possibile dal '46 in poi, a Darmstadt come altrove.
E' certamente discutibile mettere sotto la stessa etichetta compositori tanto diversi tra loro, e ancora di più lo è per le generazioni successive, allorchè i vincoli del serialismo e della Scuola di Darmstadt si allentavano con gli anni, fino a quando il panorama della Mus. Cont. è esploso in una miriade di tendenze diversificate... tuttavia può essere legittimo considerarli tutti rappresentanti di "un certo modo"  comune di concepire la composizione musicale. So bene che volendo andare oltre nel tentare di definire quel "certo modo" si rischia di  entrare in un labirinto, anzi in un gorgo, e di  esserne inghiottiti: infatti se quel "certo modo" fosse, ad esempio, l'approccio serial/strutturalista, allora ne' Castiglioni ne' tantomeno Bussotti potrebbero essere inclusi nel numero.. per non parlare di tanti altri più giovani negli  anni successivi. In realtà ciò che veramente può riunire questi  compositori  diversissimi tra loro non è la vera o presunta omogeneità del loro linguaggio musicale, quanto il contesto sociale e i canali mediatico/culturali attraverso i quali la loro musica è stata promossa e distribuita. 
In breve: dagli anni '50 in poi si è avuta una crescente influenza della Neue Musik nella vita del nostro paese, sostenuta da molte delle maggiori istituzioni musicali, dalle case editrici e più in generale da un consenso dell' intellighentsia cultural/politica. Tale processo ha avuto il  suo momento di maggior fulgore intorno alla metà degli anni '70, cui ha fatto seguito una lunga parabola discendente, una  lenta ma costante perdita di prestigio e importanza, che forse tocca oggi  il  suo  punto più basso. 
Non mi dilungherò qui oltre, perchè non ne ho la competenza, ne'  questo è il  luogo giusto, nella descrizione dei complessi avvenimenti sociali e artistici che hanno determinato questa ampia parabola fino all'attuale svalutazione della "musica contemporanea", o Nuova Musica, o Neue Musik. Dovranno essere i sociologi e i musicologi  a fornire quanto prima l'analisi corretta e approfondita. 
Devo però  aggiungere d'altro canto che, in Italia come in molti paesi europei, la Mus.Cont. si affermò a danno di altre correnti contemporanee (senza virgolette: cioè che erano effettivamente presenti nello stesso periodo). Non è  stata solo la generazione dei cosidetti Neoromantici  a soccombere, almeno nella prima fase della querelle negli anni '80, contro il mainstream accademico; anche prima, molti compositori coetanei di Nono & C. rimasero in qualche modo  isolati per non aver voluto (o saputo) abbracciare con la stessa convinzione il linguaggio  dell "avanguardia"  seriale, strutturalista etc.
Ed è noto che in Francia fu anche peggio: lo scontro tra la corrente bouleziana e gli eredi della tradizione nazionale (Landowsky, Jolivet e altri) fu particolarmente duro, e si risolse a favore dei primi dopo polemiche violente e battaglie senza esclusione di colpi. 
Ma, attenzione: sarebbe illusorio credere che se la Neue Musik non avesse avuto la meglio per decenni, in tutta europa, i Landowsky  e gli altri esclusi avrebbero goduto di sicuro successo e fama presso il grande pubblico. 
La crisi cui assistiamo oggi non è solo la crisi della musica "contemporanea", ma di tutta la musica "colta" o "accademica" dei nostri tempi, di fronte allo sviluppo del pop e degli altri linguaggi derivati dal rock e dal jazz, che da un lato sono certamente più attrattivi per un pubblico di massa prevalentemente giovanile, dall'altro hanno alle spalle il sostegno potente di forti interessi finanziari multinazionali.
A questo riguardo condivido -al netto di alcune affermazioni a mio parere non del tutto fondate- la lucida analisi che Marco Tutino ha svolto in un suo intervento (in occasione di un convegno  organizzato  da Rai Trade nel 2009) dal titolo Dov’è andata la musica contemporanea italiana?da lui pubblicato recentemente su  Facebook.
Tutino,meritoriamente prescindendo da valutazioni estetico/linguistiche, conduce una analisi sociopolitica del problema e focalizza le ragioni della crisi della Mus. Cont. italiana in tre punti principali. Voglio riportarli qui quasi testualmente, per non tradire il suo pensiero:  
1) L’eccessivo irrigidimento eurocentrico...Si sottovalutò la forza di paesi ben più attrezzati del nostro ad affrontare il futuro del mercato globale. La musica di provenienza anglosassone e dell’estremo nord, oltre quella sviluppatasi inaspettatamente dal grande blocco dell’est, si presentò alla ribalta verso la metà degli anni ’80... e fu un impatto impietoso.....fecero d’improvviso sembrare i nostri strutturalisti italici come dei sopravvissuti nella giungla, ignari che negli ultimi dieci anni il resto del mondo non ci avesse aspettato, tantomeno neppure considerato.  
2) Il curioso sillogismo tra il concetto di avanguardia e l’appartenenza allo schieramento politico di sinistra..... Aver legato così platealmente le due cose, ha inevitabilmente indebolito il prestigio culturale di un movimento e di una tradizione, relegandola di fatto a un ruolo molto provinciale: agli intellettuali e musicisti stranieri, non esclusivamente centroeuropei, la musica italiana di quel periodo doveva apparire come una curiosa armata d’élite dagli aspetti pittoreschi. 
3) L’incapacità di strategie di grande respiro....nessun governo di centro sinistra, è bene ricordarlo, nonostante si sia fatto portavoce della bandiera della valorizzazione culturale a più riprese, è riuscito a sviluppare un’idea di riforma delle istituzioni musicali e di cambiamento strutturale dei meccanismi che governano la vita culturale italiana, e questo dal dopoguerra a oggi. 
Dunque, come sottolinea Tutino, la gestione della Mus. Cont. nel nostro paese è stata zavorrata da un'ottica culturalmente provinciale, italocentrica; aggravata da una perniciosa identificazione della cultura di "avanguardia" con la Sinistra politica; e infine per chiudere il cerchio, questa stessa parte politica, una volta salita al governo, si è dimostrata incapace di realizzare in modo  integrato e organico le iniziative e le riforme necessarie ad assicurare alle attività artistiche contemporanee il ruolo che loro compete, in una prospettiva finanziariamente sostenibile di lungo periodo. Un bilancio lusinghiero, non c'è che dire.. 
Tutino conclude il suo intervento con un invito costruttivo al cambiamento, rivolto agli artisti come agli organizzatori di cultura:

Io credo che possa esserci ancora uno spazio e un tempo nel quale le nuove composizioni rappresenteranno un valore aggiunto effettivo alla nostra vita culturale e artistica, e alla possibiltà di restituire senso e giustificazione anche sociale alle nostre istituzioni se non vogliamo considerarle, come sembra, dei musei. Ma questo potrà avvenire solo al costo di uno sforzo di rinnovamento, che come sempre accade, avverrà non per buona volontà ma per costrizione. Per non scomparire dal mercato globale della cultura e dei paesi che contano, perché le risorse sono sempre meno e dunque o si cambia o si muore, perché il pubblico si stuferà delle solite ribollite, perché le cose evolvono anche a dispetto dei direttori artistici, perché il resto del mondo ci sta regalando esempi illuminanti, perché qualcuno ci spiegherà che conviene… Non importa perché, ma vedrete che prima o poi ci saremo costretti, a cambiare.

Non posso che concordare: o si cambia, o si muore.
Ma non sono d'accordo con chi sostiene che il problema sarebbe di colpo risolto se i compositori soltanto semplificassero il loro linguaggio musicale, se si scrollassero di dosso lo snobismo culturale ereditato dalla vecchia "avanguardia" e fossero capaci di rivolgersi al pubblico con un atteggiamento meno "intellettualistico", con una musica più "comprensibile". Tutto ciò è sicuramente augurabile e necessario, ma non sufficiente. Oggi certamente non è più il tempo di rifondare dalle radici il linguaggio musicale come se fossimo ancora negli anni '50: ma è invece tempo di utilizzare le tecniche sviluppate a partire da quella lontana stagione, per trasformarle da strumenti di laboratorio in risorse utili alla comunicazione per il pubblico di oggi. 
Occorre tener ben presente che nella "società dello spettacolo" di oggi la Mus.Cont. ormai non è che uno dei tanti sotto-settori e generi musicali che segmentano il mercato, ognuno dei quali con un proprio più o meno numeroso pubblico di appassionati. L'ambizione prometeica di certa Mus.Cont. che sembrava un tempo volersi rappresentare come il futuro della musica in toto, è andata incontro ad una sonora smentita, e in fondo forse questo è un bene. Se oggi la Mus.Cont. vuole finalmente accedere in modo normale e continuativo alla programmazione dei Teatri lirici, delle Istituzioni sinfoniche e cameristiche, deve certamente innanzitutto dismettere i panni supponenti dell' avanguardia: ma deve poi essere anche capace di misurarsi con le condizioni reali del mercato distributivo da un lato, con la segmentazione sociale del pubblico dall'altro, tentando di unire anzichè dividere. Seguitare nello sdegnoso accademismo, nel concepirsi come una élite di ottimati, lamentandosi che il pubblico ignorante non capisce, non fa che prolungare l'agonia.
C'è un grandissimo lavoro da fare. 
Non certo cancellando i molti frutti preziosi elaborati dalle avanguardie (ormai) storiche, ma al contrario rimettendoli in circolo, attualizzati, ripensati per le mutate condizioni di oggi. Tornare a parlare delle vicende sociali e individuali che vediamo intorno a noi, dei drammi e delle gioie umane che viviamo, e parlarne con strumenti che possano potenzialmente raggiungere tutti, e tutti commuovere e risvegliare, oltre che dare piacere estetico. Esattamente ciò che facevano i grandi Maestri del passato, da Mozart a Beethoven.   
In alternativa, la Mus.Cont. può sempre rassegnarsi a rimanere un settore di nicchia del mercato, riservato ad una (sempre più?) ristretta minoranza di conoscitori, più o meno come un club di scacchisti, e vivere felice nel proprio splendido (?), ma in fin di conti sterile isolamento. 
Ma in quel caso bisogna anche accettare che è vano illudersi che una nazione di 60 milioni di abitanti possa mantenere economicamente in attività migliaia di compositori professionisti, o aspiranti tali. Per non parlare dei direttori d'orchestra e strumentisti. Una mia personale "indagine di  mercato" mi ha rivelato  che circa il  50% dei giovani musicisti che ho avuto  come allievi  si  trova attualmente fuori dal Paese, e studia o  lavora all'estero. E qui si dovrebbe passare a discutere del ruolo dei Conservatori, e del loro rapporto  con il mercato  del lavoro. Ma ne parleremo forse una prossima volta.



47 commenti:

  1. La musica contemporanea ha pensato tanti anni fa´ che l´indipendenza dal mercato fosse una gran cosa e si e´ ritrovata a dipendere da una serie di coordinatori e funzionari statali che potrebbero anche stare dietro una scrivania a calcolare l´IVA. Ha assunto la faccia degli apparati politico-burocratico-statali che a molti risvegliano lo stesso immaginario prodotto da Trenitalia o Alitalia. E´una musica statale di gente omogenea e corporativa, che mai protesta perche´ preferisce arrivare alla pensione. Come gli impiegati delle poste.

    Ovviamente tutti i discorsi generalizzati prevedono un´ampia serie sorprendenti quanto silenziose e isolate eccezioni.

    Cordialita´.

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  2. Grazie Raffaele per il tuo commento, che in parte condivido. Per quanto mi riguarda , spero che me ne darai atto: per dichiarare pubblicamente che siamo morti ci vuole un certo coraggio , e mettere in gioco tutte le certezze costruite in decenni di "militanza" musicale.
    Ma davvero non vedo alternative ad un ripensamento radicale della situazione. e che Dio ce la mandi buona . Tanti auguri di Buon Anno ! Renato

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  3. Gentile Maestro che il 50 per cento dei suoi allievi lavori fuori dall'Italia potrebbe essere un dato anche positivo. significa che la nostra scuola è ancora competitiva, su un mercato più ampio di quello italico...certo una triste necessità l'emigrazione...ma in fondo una caratteristica del terzo millennio...sul concetto di musica contemporanea forse dovremmo ampliarlo. siamo abituati a pensare alla musica contemporanea solo in termini di repertorio scritto, che preveda dunque la figura di un compositore e di un interprete. e se tornassimo al concetto barocco di interprete-compositore e cominciassimo ad aggiungere anche le forme legate all'improvvisazione? forse di colpo scopriremmo che una musica contemporanea c'è ed è anche ascoltata...

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  4. Ripartendo da Tutino, intanto penso valga la pena di aggiornare il quadro funebre.
    - “L’eccessivo irrigidimento eurocentrico” penso sia terminato da un bel pezzo, o almeno da quando esiste l’mp3, Youtube, e le molte possibilità di reperire gratuitamente quasi qualsiasi suono, dall’annuncio fermata del treno regionale 6260, ai 5 cd di “Folk-Nordic Roots”. Una volta c’erano le mode, oggi tutto convive comodamente in un iPod shuffle.
    - “Il curioso sillogismo tra il concetto di avanguardia e l’appartenenza allo schieramento politico di sinistra”. Mi pare un passato evaporato, almeno nella sostanza. A parte chi si è bevuto le fesserie del nostro ex-premier, qualcuno pensa davvero che oggi esista o possa esistere ancora una Sinistra con la maiuscola? Personalmente vedo partito frammentato, incapace di non litigare, con un problema enorme di attualizzazione del pensiero e di rapporto con la base.
    - “L’incapacità di strategie di grande respiro [...] e di cambiamento strutturale dei meccanismi che governano la vita culturale italiana”. Temo che la storia del pensiero abbia decretato la fine del pensiero progressista e dei suoi “grandi respiri”, e non solo da noi. Qui di sicuro il problema è anche a monte: chi fa mus. cont. mi pare spesso non riconosciuto come rappresentante della cultura neanche da poeti, scrittori, architetti, pittori e artisti, insomma dagli “altri”, riconosciuti, spesso rispettati e rispettabili rappresentanti della cultura. Perché? Proprio solo perché ne hanno ascoltata troppo poca?
    - “Prima o poi ci saremo costretti, a cambiare”. Concordo e attendo paziente, ma è il “prima o poi” che atterrisce in Italia, visto l’eco fastidioso “poi, poi, poi...”. E cambiare come? Non siamo purtroppo immuni dall'italico (e romantico...) individualismo litigioso che ci porta, ad esempio, a non avere una Società dei Compositori. Parliamone...

    p.s. “il crollo avviene solo adesso, più che altro per cedimento strutturale autonomo, per mancanza di manutenzione, piuttosto che per pressione esterna”. Complimenti, una sintesi fulminea!

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  5. Interessante il post di Renato, anche se non sono in condizioni di leggerlo scrupolosamente. Certo al ruolo prometeico della musica contemporanea non mi dico indifferente, anzi ad essa ero sensibile e lo sono ancora: a tal punto da avere pstato in internet due mie composizioni per pianoforte (Lo Spaventapasseri e Tropfen). Certo non ho la statura per riproporre una profezia musicale, anche se per pianoforte penso di avere detto qualcosa di pregevole. E' una mia supposizione? la domanda è rimasta senza risposta: quel che è certo è che per ritrovare qualche occasione d'ascolto ed interesse altrui, ho dovuto retrocedere a musica un poco più consonante. Qualcosa questo vrrà pur dire, grazie ciao. Massimo Belloni pianoforte.

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  6. Grazie a tutti per i commenti , mi fa piacere aver suscitato qesta discussione .
    Risposta a TOMMASO ROSSI :
    - sulla fuga dei cerveli ( e degli strumentisti) , non credo che sia il segno che la nostra scuola musicale sia di particolare valore : forse lo è per certi particolari strumenti , ad esempio il fagotto o altri. Concordo che non va vista del tutto negativamente perchè il mondo è globalizzato e per i giovani oggi le frontiere sono più labili che in passato. Ma molti tra questi giovani VORREBBERO trovare lavoro in Italia e non trovandolo sono costretti a partire. Quando sono all'estero , molti tra essi VORREBBERO tornare, ma non possono perchè qui non trovano lavoro.
    - sul concetto di Mus.Cont. : è vero , esistono molte altre forme di questa fuori dai confini della musica "colta" o "accademica" o comunque la si voglia definire. Ma il mio commento riguarda dichiaratamente solo questo tipo di musica , che è il campo che conosco per esperienza diretta . Mi sono focalizzato su questo ben sapendo che s tratta - come ho scritto- soltanto di un settore del panorama musicale contemporaneo.
    Le altre forme musicali hanno una fenomenologia e una problematica sociale e estetica del tutto diverse , che meritano un esame separato .

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  7. RISPOSTA AL COMMENTO DI FABIO:

    - Sul provincialismo dei rappresentanti della Mus. Cont. : occorre ricordarsi che per un lungo periodo questi hanno vissuto in un mondo autoreferenziale , e si sono permessi, finchè era loro possibile, di non prendere in considerazione fenomeni musicali esterni al mondo della musica scritta su carta , composta da persone educate in ambiente accademico ( conservatorio etc) , eseguita da orchestre o ensembles "classici" in sale da concerto tradizionali . Quando è emersa l'informatica musicale , essa è stata oggetto di ricerca "scientifica" ( su tutti , all' IRCAM) , ma per lungo tepo è rimasta impermeabile ad altri tipi di utilizzo musicale dei computers . Insomma , quello che intendo , come ho già scritto nel mio altro commmento , ho preso qui in considerazione solo il ramo "accademico" della Mus Cont, perchè mi interessava mettere in evidenza la situazione attuale di questo specifico settore.

    - Sulla "sinistra" partitica: non entro nel merito ( perchè sarebbe un argomento politico-politico, che non è l'oggetto di questo blog).
    MI limitavo a osservare dei dati di fatto :
    1) la Mus Cont si è sviluppata grazie ANCHE al supporto dell'intellighentsia di sinistra del nostro paese. Notoriamente , per molti decenni , in Italia la sinistra è stata tenuta fuori dal Governo del paese, ma in cambio le è stato lasciato libero il campo nel settore culturale ,quindi nell'editoria, nelle arti , nelle università etc.
    2) è un dato di fatto che , una volta al potere ( sola, col Governo Prodi, o in allenza con il centro, governo Craxi), la Sinistra è stata incapace di dare al settore cuturale le riforme necessarie e quello sviluppo lungimirante e internazionale che avrebbe potuto e dovuto dare.

    - Sulla "Società dei Compositori" : sono totalmente contrario al ritorno delle Corporazioni Fasciste. Il problema non è legiferare in senso protezionistico , distribuire patenti di compositore e relative garanzie e tutele, ma al contrario, liberare il mercato da clan , conventicole, cordate familistiche, mafiette locali, e ristabilire una vita musicale contemporanea sana, orientata verso il pubblico invece che autoreferenziale.

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  8. Tutta la mia stima per il lavoro svolto da Renato e per aver avuto il coraggio di scrivere quello che ha scritto. Mi pare tutto molto onesto, che oggi non è poco. Devo dire però che spesso mi trovo nelle sorprendevoli condizioni di chi, a seconda della "formazione" culturale dell'interlocutore che si trova davanti, prende le difese per l'una o per l'altra parte. Avendo avuto anche una parziale (ma ritengo fondamentale) formazione accademica non di rado mi trovo ad esempio a far capire le ragioni di alcuni degli obiettivi privilegiati di chi è solito sparare alla cieca sulla musica contemporanea: sia il solito povero Ferneyhough o uno degli ambiti di cui mi sono occupato più a fondo come la "composizione musicale assistita"; definizione orrenda per descrivere una tecnologia che rappresenta alcune delle tecniche che i compositori hanno sempre utilizzato (più o meno consciamente). Non credo ci sia però ambiguità da parte mia. Rilevo solamente, e sarà la mia conclusione a questo intervento, come spesso non solo ci si parli poco, ma non si ha voglia di conoscersi (e a volte non si ha tutti i torti, quando a parlare è l'arroganza) e si studi ancora meno il fare musicale contemporaneo. Andiamo quindi al nocciolo della questione da te sollevata.
    Il problema più grande della musica detta contemporanea sono i figli di quell'avanguardia di cui si dichiarano eredi, e che hanno protratto, con arroganza e/o per puro spirito di sopravvivenza, nel tempo, quelle particolari condizioni estetiche-politico-organizzative fino ad oggi; istinto di sopravvivenza a parte (soprattutto economica pur trattandosi di guerra tra poveri) la questione fondamentale è che lo hanno fatto tradendo lo spirito avanguardista originario, asservendo cioè le esigenze della sperimentazione continua alla conservazione di uno status estetico-politico-sociale che poi si è trasformato in puro reazionariato, soprattutto estetico. Reazionariato tutelato anche da organi istituzionali, dove tra l'altro, la scusante estetica continua ad essere legata, per opportunismi politici solitamente sinistrorsi, ad inconsistenti richieste di tutela di un ambito "sperimentale", tecnologico, che si esaurisce nel mondo del Sound and Music Computing (SMC, fu "informatica musicale"); che altro non è che il prodotto di un pensiero mainstream sul "fare musica" oggi. Direi che nella Musica Contemporanea c'è oggi un serio problema di rapporto tra sperimentazione e ricerca (quello che per me è La Musica Contemporanea), che paiono scollate. La ricerca tecnologica in musica oggi appare come un alibi per imporre un esclusivo modo di pensare la techné musicale (quella propria del "complesso" mondo odierno, appunto del SMC).
    Io credo nella sperimentazione. Ma credo che ci sia ben poca sperimentazione oggi nella musica detta "contemporanea". La stesssa scrittura musicale pur avendo raggiunto altissimi livelli di artigianato, direi spesso di puro manierismo, è piuttosto omologata e questa omologazione sostenuta e alimentata dal Sistema Musica Contemporanea. Con tutti i suoi apparati. E non basta, come vedremo dopo, guardare (con certa sufficienza), alle altre esperienza musicali. E' necessario partecipare, soprattutto, proprio in quanto sperimentazione, ai suoi fallimenti.

    (continua)

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  9. Scrivi: "O si cambia o si muore".
    Io penso sia ora di morire. Con Troisi, bisognerebbe almeno avere l'obbligo di segnarselo!
    Quindi vi chiedo anche a Voi, che in qualche modo di quell'avanguardia siete figli, quanto siete disposti a morire? Perchè il cambiamento che chiedete a gran voce non è percorribile. Men che meno quello di Tutino. Semplicemente perchè viene da voi che avete una forma mentis già "formata" (ribadisco a scanso di equivoci, nel bene e nel male; sarebbero opportune miriade di distinzioni, ma lasciamo che questo testo, come il tuo, sia boulezianamente un'invettiva against the Machine).
    Non c'è nulla da chiedere; tanto meno ad una aprioristica segmentazione del mercato o ad un fantomatico pubblico. Avanguardisticamente c'è solo da produrre e imporre. Io sarei tra l'altro per una "musica reservartissima", ars nova perennis et universalis, giusto per onorare la tradizione dell'ars musica occidentale. E già sono in molti a farlo, arrangiandosi, prescindendo dal "mondo della musica contemporanea" e percorrendo da soli le tortuose strade della sperimentazione.
    Chiariamoci quindi. Se la musica contemporanea aspira ad avere solide basi sperimentali (e solo a queste condizioni) a me pare che ci sia una enorme difficoltà da parte dei "grandi vecchi" (diciamo quelli oggi intorno ai 50-60 anni) dell'avanguardia musicale ad inquadrare ciò che sta realmente accadendo oggi nell'ambito della sperimentazione musicale contemporanea; che altro non è che la naturale evoluzione di ciò che era nello spirito dei Maestri dell'avanguardia e non degli epigoni. Se la musica contemporanea aspira a mantenere il ruolo che ha all'interno del sistema, allora continui pure. Con i suoi risultati alterni, più o meno buoni nell'ambito del panorama musicale mondiale "di un certo interesse" culturale, non incisivi ne socialmente ne esteticamente, e che continua a farsi domande a cui non potrà mai rispondere.
    Con la sufficienza (quasi pizzettiana) con cui alcuni esponente della Musica Contemporanea si rivolgono ad esperienze che non conoscono, parlerei proprio di ignoranza. E' evidente. Almeno a me. Rarissimi i giovani e giovanissimi compositori che sono al corrente (al di fuori di una Ircam oriented view of musical research) di quanto accade oggi nell'ambito della sperimentazione. O se lo sono, le istituzioni in cui operano sono poco disposte ad accoglierne i "fallimenti" sperimentali. Ad osare, direi.
    Che siano quindi due ambiti che spesso si guardano in cagnesco e a cui è precluso l'incontro? Magari c'è una incompatibilità valoriale di base. Probabilmente è il Deus ex Machina della Scrittura! Ma anche su questa pretesa di essere gli unici portatori di una certa profondità di valori (quelli sicuramente espressi dal Canone Musicale Occidentale) ci sarebbe molto da dire. E non sarebbero questioni superficiali perchè, ad esempio, la critica a "chi antepone le orecchie alla mente" risale alla notte dei tempi.

    (continua)

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  10. Allora chiedo: quanti di coloro che fanno parte del mondo della "musica contemporanea" sono realmente interessati a questioni che riguardano ancora la sperimentazione sul suono? Quanto un "musicista contemporaneo" è disposto ad accettare che le arti del suono irrompano nella sua vita?
    Ciò che stupisce è il declino estetico della musica contemporanea insieme alla sua diabolica perserveranza nel tener separata la sperimentazione dalla ricerca. Come se SOLO nel sistema di potere legato alle istituzioni dedite alla ricerca (e chiamerei in causa in primis l'Università), la Musica Contemporanea trovasse una legittimità pubblica che altrimenti non riuscirebbe ad avere.
    Io ho molta stima del lavoro di Renato Rivolta così come continuo a stimare le qualità musicali (di scrittura musicale) di decine di giovani e giovanissimi compositori italiani. Ma si vede e si sente che tende ad essere una scrittura imbrigliata, direi omologata ad un sistema. C'è un suono; ed è il suono della Musica Contemporanea. Quando la cosa dovrebbe essere il contrario: esiste la Musica Contemporane che forgia esperienze di suono. Ma nessuno pare accorgersene. Un po' come i quadrati che vivono bidimensionalmente su Flatlandia che non riescono a rendersi conto quando sopraggiunge loro la Sfera, fantastico essere tridimensionale che loro continuano a vedere, per "forma formata" bidimensionalmente. Non è quindi un problema di legittimità dei punti di vista. E che questo punto di vista, della Musica Contemporanea, sulla Musica, oggi, è proprio debole. Soprattutto esteticamente. E questa contraddizione tra l'esser figli di un'avanguardia e il consolidamento presente di un sistema di valori che mostra le crepe e un suono omologato, proprio non riesco a capirla. Trovo proprio un gran peccato imbrigliare quelle forze in questa estetica.

    un saluto
    Fabio Selvafiorita

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  11. RISPOSTA AL COMMENTO DI ANONIMO

    "per ritrovare qualche occasione d'ascolto ed interesse altrui, ho dovuto retrocedere a musica un poco più consonante. Qualcosa questo vorrà pur dire"

    Caro Anonimo : ognuno sceglie per sè il modo più adeguato di esprimersi musicalmente .
    Ma come ho scritto nel post, non credo che la soluzione sia semplicemente quella di scrivere musica più facile, orecchiabile, comprensibile. Ho condiviso invece l'impostazione di Tutino , che non entra nel merito del linguaggio musicale, ma delle modalità manageriali , produttive, organizzative, promozionali di gestire il fenomeno nelle istituzioni che lo producono e distribuiscono .

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  12. mi spiace essere un po' sibillino, ma proprio mi vien da dire: oggi è tutto pop. tutto, anche la 'musica contemporanea' è pop. il problema consiste solo, per me, nel volerlo riconoscere o no, soprattutto da parte dei compositori e degli 'addetti ai lavori'. dunque: se smettiamo di chiamare la musica contemporanea 'musica contemporanea' e cominciamo a chiamarla 'musica pop' (con tutti gli ulteriori attributi che le si vogliano aggiungere - 'senza batteria', 'sperimentale', 'hard-edge', 'hard-core', 'colto' (bellino, 'pop colto' :) ) etc. etc.) allora forse (forse) questa musica e questi compositori possono avere un futuro. sennò, no. sembrerà una battuta la mia, ma bisogna far capire che tra alberto colla, stefano bollani e bjork non c'è alcuna differenza se non in termini di stile e di linguaggio: il 'format', la veicolazione, il 'mercato' (inteso nel senso più neutro possibile, come luogo cioè in cui si trovano le cose) devono essere gli stessi: myspace, facebook, i-tunes, i-pod e tutto il resto. se la 'musica contemporanea' pensa di rimanere legata ai festival (in crisi), alle riviste (inesistenti, a parte 'blow up' che si occupa anche e soprattutto di 'pop'), ai critici (spariti o chiusi a chiave nelle università), alle case discografiche (che stampano 100 cd e non li distribuiscono ma aspettano che qualcuno telefoni per richiederne una copia da spedire contrassegno) e alle case editrici che pubblicano le partiture (ah ah ah ah... le 'partiture': esiste ancora qualcuno - anche uno di numero - che si compra le partiture dei giovani compositori per studiarle?!) allora non c'è speranza di risollevarsi. l'Autore, l'Opera, il pubblico in religioso ascolto: è tutto finito. le forme in cui si è esperita la musica colta fino a trent'anni fa sopravvivono come ectoplasmi destinati a sparire del tutto. quindi: o ci si aggiorna (non linguisticamente, non c'entra nulla il 'consonante', nel pop c'è tutto e il contrario di tutto, si va da al bano ai residents, quindi c'è posto per tutti, si può fare qualsiasi cosa), mettendo la propria musica su i-tunes, facendola recensire su siti web, pubblicizzandola su facebook e magari facendo anche il video di qualche pezzo, o altrimenti non vedo davvero come ci si possa salvare. l'unica speranza che abbiamo di ritrovare un pubblico è quella di 'ritagliarselo' dalla parte più raffinata del pubblico pop, per niente omologato ma estremamente differenziato contrariamente a quel che sembra. questo è quello che penso. un caro saluto a tutti.

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  13. toh, fabio selvafiorita... ciao, fabio!

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  14. oh, chi si rivede! ciao Marco!

    Fabio S.

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  15. RISPOSTA Al COMMENTO in 3 puntate di ANONIMO ( Fabio Selvafiorita)

    In queste ore sto ricevendo tanti commenti. Li riassumo dicendo che la denuncia della morte della Mus Cont come l'abbiamo conosciuta noi è condivisa da tutti , ma molti mettono l'accento sul fatto che negli ultimi 20 anni le tecnologie informatiche hanno fatto nascere anche una Mus Cont "altra", non accademica, ma altrettanto valida, a loro parere: con un suo pubblico , suoi canali di distrbuzione , sue modalità di sviluppo e diffusione... non conosco bene questo fenomeno e mi ripropongo di studiarlo . Ma credo che rimanga comunque un settore minoritario, come il "nostro" . IL problema però non è di permettere a chi lo desidera di sperimentare le più ambiziose possibilità compositive. Il problema, a mio parere, è ritrovare il prestigio e la dignità culturale e sociale dei musicisti che, come noi, non sono direttamente, univocamente legati alla catena del profitto capitalistico. TAle problema rimane, ed è necessario affrontarlo senza steccati ideologici, senza pregudizi estetici, ma con rigore e coraggio. Non credo che si tratti di riaffermare una supremazia della "nostra" Mus Cont rispetto alle altre, di difendere o tutelare una certa specifica corporazione dei"veri" compositori contemporanei, o presunti tali . Si tratta di rimettere in piedi una politica culturale e musicale seria, basata su un rapporto reale col pubblico e con le specifiche realtà istituzionali , con i loro limiti ed esigenze di programmazione, con la sostenibilità finanziaria della loro gestione. E poi , si tratta di rivolgersi al pubblico con opere realmente moderne, cioè che tocchino i temi della vita, della società ... un po' come fa il buon cinema.
    C'è un grande lavoro da fare. Io , da interprete , non posso che cercare di suonare l'allarme, e sperare di essere ascoltato . Sento però che i tempi forse sono maturi per rimettere insieme tanti protagonisti del nostro mondo che per anni si sono combattuti su basi inutilmente estetico/ideologiche . Se siamo diventati invisibili alla società , allora possiamo unirci, e far della nostra debolezza di singoli , una forza collettiva. Io ci sto, a "urlare controvento".
    Credo che qualcosa bolla in pentola , e forse presto verrà fuori una iniziativa pubblica: o almeno , io ritengo che dovremmo cercare di organizzarla. Suscitare almeno un pubblico dibattito magari non cambia le cose , ma è già qualcosa, se l'alternativa è scomparire nel silenzio e nell'indifferenza.

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  16. RISPOSTA AL COMMENTO DI MARCO LENZI

    Caro Marco , se dovessi decidere in quale categoria ti dovrei mettere , tra gli Apocalittici e gli Intergrati , ti metterei senz'altro tra gli Apocalittici.
    Tu esponi una serie di postulati che mi sentirei di considerare privi di fondamento, e poi giungi ad una conclusione che non risolve il problema.
    Forse è colpa mia, forse non sono stato capace di spiegarmi bene.

    1) "tutto è pop " mi pare un problema solo nominalistico. Non credo che si ottenga alcun risultato limitandosi a cambiare la denominazione di un genere musicale .
    Sono d'accordo che il genere musicale che oggi chiamiano Mus Cont non è che uno dei tant generi in circolazione, con il loro pubblico e le loro modalità di diffusione . L'ho scritto chiaramente nel mio post.
    Però non si può fare di tutte le erbe un fascio : "questo" particolare genere di musica nasce nelle "accademie" , nelle "istituzioni" , proviene da quella storia, che è una storia molto diversa da quella del Pop o del jazz .
    Non è omogeneizzando distrbuzione, reti, modalità di fruizione che si fa un passo avanti. Anche se sicuramente fare uso delle moderne tecnologie mediatiche e distributive della musica è una cosa positiva. Ma non è tutto . IL problema è NON PUO ' essere tutto messo sullo stesso piano .

    2) Personalmente ritengo che abbandonare il campo delle istituzioni musicali "tradizionali" ( teatri d'opera , sale da concerto , società filarmoniche etc) sia un grave errore. Lo sai chi scrive la musica per un balletto della Scala quet'anno ? Vasco Rossi . O meglio , glie la scrive qualche suo "negro" perchè lui non sa scrivere la musica , sa suonare 4 accordi sulla chitarra. Vogliamo rifugiarci tutti su you tube , my space , facebook, e aprire un autostrada a questi analfabeti musicali ( lui , lucio dalla con la sua "Tosca" oribilmente storpiata, LIgabue all'Arena di Verona , Sting con London Symphony, tra un po' Jovanotti con chissà chi.. ) NO , io non ci sto a lasciare il campo. Quella rete istituzionale, con quel pubblico che , bene o male , è ancora in media abbastanza competente in musica, non vedo alcuna ragione per abbandonarla.

    3) Quello è il pubblico d'elezione della musica "colta" , ed è necessario che i compositori sappiano rivolgersi al pubblico culturalmente più evolutonel campo della musica "colta" .Non è tutto uguale , non è "tutto finito" . Schoenberg NON E' uguale e Sting.

    continuiamo a discuterne. GRazie
    Renato

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  17. caro renato,
    francamente non mi sento un apocalittico, almeno non in toto. mi sembra anzi di aver suggerito una possibilità di salvezza per la mus cont. e non è un problema nominalistico, al di là della mia boutade intenzionalmente provocatoria. la questione in realtà è estremamente complessa e non credo possa essere sollevata, qui, in tutta la sua complessità. la mia principale difficoltà nell'argomentarla consiste nel fatto che gli interlocutori con cui ho di solito a che fare non conoscono il pop. non sanno cos'è anche se credono di saperlo. intendiamoci: non c'è niente di male in questo, ma certo ciò rende veramente difficile per me chiarire il mio discorso. i nomi che citi (vasco rossi, sting, lucio dalla, ligabue, jovanotti) rappresentano una piccolissima parte (per quanto numericamente cospicua in termini di successo commerciale) dell'intero universo del pop a cui faccio riferimento. ci sono un'infinità di nomi artisticamente assai più rilevanti che non hanno a che fare NULLA con quelli da te citati. non sto a elencarli perché mi parrebbe abbastanza inutile.
    raccolgo comunque molto volentieri l'invito a continuare a discuterne, e appena avrò un po' di tempo a disposizione cercherò di farlo trattando la questione da un altro lato, se mi riesce. nel frattempo ti saluto caramente.

    PS schoenberg non è uguale a sting? no, infatti, anche a me sembrano due musicisti molto diversi. ma ivan fedele (o luca francesconi, o giorgio battistelli, o alessandro solbiati o chi ti pare - un qualsiasi nome 'rilevante' nella musica contemporanea) non è PIU' BRAVO di bjork, di aphex twin o di tricky (per citare tre nomi altrettanto 'rilevanti' nella musica pop - quella di qualità, non quella banale e commerciale). la musica dei primi non è di qualità migliore rispetto a quella dei secondi.

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  18. (intervento in due parti)
    I

    Ciao Renato,

    innanzitutto BUON ANNOOOO!!!
    Volevo solo scrivere, giusto per iniziare bene l'anno :) che non mi trovo affatto d'accordo con quello che scrivi. Sarà perchè non ho mai creduto in questo tipo di battaglie che tu auspichi; la dignità (per lo meno quella artistica) non è un qualcosa che deve essere richiesta a gran voce magari attraverso l'ennesimo meeting dal quale scaturirebbero inevitabilmente le inconciliabili (giustamente direi) posizioni estetiche. Per me non funziona così. E' già successo e accadrà nuovamente. Il solo pensiero di accostare Tutino ad altri compositori mi fa già intravedere fuoco e fiamme! Che è anche folcloristica come cosa, ma lascia un po' il tempo che trova.
    La dignità e il prestigio artistico sono solo la conseguenza, a posteriori, di un messaggio estetico "forte", che è tale quando riesce a mettere in moto, nella società o in una nicchia di essa, un sistema di condivisione di valori e di strutture (dai festival, ai programmi dei concerti, all'ennesimo auspicio di rinnovamento dei programmi di studi musicologici e nei conservatori ecc ecc). Questo è ciò che accadde per la musica detta Contemporanea, in un periodo ben specifico della storia recente. Ora non è più così. La musica contemporanea sfrutta quelle strutture per sostenere, fino a che morte non li separi, chi è riuscito ad intrufolarsi in quel contesto.
    In un certo senso lo scettro "creativo" di quella stagione è stato raccolto oggi dalla "scena sperimentale" che permette ad un numero non così inconsistente di persone di poter "vivere di musica". Con un suo sistema che ha i suoi pro e i suoi contro. Ma dici bene: è un settore minoritario con un suo pubblico suoi canali distributivi sue modalità di diffusione ecc. ecc. Ma io continuo a non capire il perchè si dovrebbero anteporre questioni che riguardano il mercato, il pubblico, i canali distributivi a questioni estetiche (che potrebbero interessare entrambi i "settori")! La sperimentazione era cosa della Musica Contemporanea! Ma oggi, in generale, i compositori si sono accomodati!
    Il senso del mio intervento di prima allora va proprio in questa direzione che è contraria alla rimozione degli steccati ideologici e a quelli estetici che trovo non siano altro che la cattiva scusante di una ideologia (figlia di errate interpretazioni della semiosi illimitata) post settantasettina (post-dams weltanschauung, semplifichiamo così, per lo meno quello fino metà anni 90. Poi si è un po' rinsavito). Con questa storia della rimozione degli steccati ideologici in molti sono rimasti con un pugno di mosche in mano, al servizio del più bieco, come ben dici, "profitto capitalistico" (di cui il Sistema Musica Contemporanea odierna è figlio).

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  19. (Seconda parte)

    Quindi, che fare?
    Nulla.
    Di certo non auspico incontri, noiosi meeting su questioni estetiche che dovrebbero essere ormai, teoricamente, palesi.
    Auspico invece progetti concreti che abbiano a che fare con la produzione di oggetti estetici. A me piacerebbe che i direttori artistici degli Ensemble, ad esempio, prestassero più attenzione a quanto accade nel complesso mondo della "sperimentazione". E non limitassero bandi e commissioni a, chessò, chi ha meno di 30 anni, non è lombardo, non risiede in zona sempione, non ha 5 diplomi di conservatorio, non è figlio di Maria, ecc. ecc. Osare. Non voglio fare la solita demagogia ma in Germania (addirittura in Svizzera!!!) questo genere di collaborazioni è quasi all'ordine del giorno.
    Altro esempio: uno storico festival milanese perchè mette in atto uno sforzo editoriale per pubblicare in cd una serie di"registrazioni di concerti"! perchè? quando queste spese potrebbero essere investite in commissioni o serie registrazioni-produzioni in studio di queste? Chi ha bisogno di sentire oggi una registrazione di un concerto (a meno di necessità documentarie del solo festival..mhhh) che è quanto di più antitetico esista, dal punto di vista del fu spirito della Musica Contemporanea, all'attenzione per il Suono?
    Ennesimo esempio: vogliamo dare un segnale forte? facciamo in modo che una edizione della Biennale Musica venga interamente dedicata alla Sound Art (magari in collaborazione con Arti Visive) con una serie di bei concertini sparsi frutto di una bella review, seria, della scena sperimentale; non per l'abbattimento degli steccati ideologici ma per la Palese Bellezza e qualità artigianale: che sia poi cosegnato un leone ad memoriam a Giorgio Federico Ghedini, con l'esecuzione di molti suoi lavori e alla carriera a Henze con esclusiva commissione. Niente Compositori Contemporanei. Esecuzione di qualche pezzo incazzato anni 50-60-70, quando la musica fu, veramente Contemporanea al proprio tempo. Questa è RIVOLUZIONE :)
    Ma i segnali forti, Renato, devono arrivare più che altro da voi, che tenete le redini della situazione.
    Sono solo alcune idee, buttate lì, e giuro che ieri sera non ho neanche bevuto più di tanto :))
    saluti a tutti e buon anno ancora
    Fabio Selvafiorita

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  20. fabio,
    potresti fornirmi dei link dove sia possibile ascoltare qualcosa di questa 'nuova scena sperimentale', di questa 'sound art'? è una scena che conosco pochissimo e ne sono molto interessato. sono in buona parte d'accordo su quello che dici in questo tuo ultimo commento e mi piacerebbe collegare il tuo discorso al mio, che qui ho appena abbozzato (e buttato lì un po' provocatoriamente :-) ) per svilupparlo. grazie, buon anno a tutti.

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  21. Un'altra etichetta italiana, quasi storica ormai, che si è occupata di questo limbo musicale (sicuramente dei suoi lati più oscuri come la poesia sonora o l'azionismo viennese) è Alga Marghen. Riporto dalla loro pagina facebook:
    Italian label specialising in experimental historical obscurites, obscure outsiders, and twentieth-century composition. These highly acclaimed releases are often released in limited editions. The label series are divided in six parts:
    - NMN series: Radicalization of sound and music languages
    - Tes series: Non-codificable researches of spontaneous improvisation and manipulation of sound sources
    - Vocson series: Sound Poetry
    - Akt series: Musik des Aktionismus (Music of Actionists)
    - EEs'T series: Maurizio Bianchi re-releases
    - Book series: Exclusive printed documents from the masters of the avantgarde.
    Alga Marghen's catalogue includes works by the likes of Charlemagne Palestine, Max Neuhaus, Philip Corner, Henri Chopin, Åke Hodell, François Dufrêne, John Giorno, Isidore Isou, Juan Hidalgo, Walter Marchetti, Hans Krüsi, Robert Ashley, Sten Hanson, David Berhman, Anton Bruhin, Brion Gysin, Jac Berrocal, Ghédalia Tazartès, Charlotte Moorman, Bernard Heidsieck, Nam June Paik, Anima-Sound, Ben Patterson, Malcolm Goldstein, Hermann Nitsch, Henri Pousseur, Davide Mosconi, Musica Elettronica Viva, Arrigo Lora-Totino, José Luis Castillejo, Geschwister Bär, Geschwister Akre, Terry Jennings, Tony Conrad, Robert Feldman, Gil J. Wolman, N.A.D.M.A., ...

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  22. Provocatoriamente, a proposito della Biennale Musica, ho utilizzato invece il termine Sound Art con il quale solitamente ci si riferisce invece all'utilizzo artistico del suono nell'ambito dell'arte contemporanea visiva (intendendo forse con questo che non ci si vuole immischiare nelle diatribe estetico-musicali e/o una sua storicizzazione). Nonostante sia una definizione che piace molto ai critici e ai puristi della Sound Art (ci sono anche quelli!) è indubbio che nell'ambiente della Sound Art circolino molti musicisti, sperimentali o meno. Contrariamente a quello che avviene nella musica contemporanea dove il paradigma cognitivo impera ormai incontrastato da due decadi, in quest'ambito sono rilevanti questioni percettive limitrofe all'indagine filosofica (filosofia della percezione) e sociologica (e il primo nome che mi viene in mente è Brandon Labelle http://www.brandonlabelle.net/publications.html).
    Mi limito ad una indicazione bibliografica e un paio di link ad artisti (in questo caso anche scultori sonori) che a me piacciono molto
    http://www.soundohm.com/alan-licht/sound-art-beyond-music-between-categories/rizzoli-international-publications/
    Max Eastley
    http://www.youtube.com/watch?v=E6WHdZPzfW8
    Max Neuhaus
    http://www.max-neuhaus.info/
    o quelle più "contemporanee" di Zimoun
    http://vimeo.com/7235817

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  23. Per chi invece quando sente "musica elettronica" pensa ad Autechre o Aphex Twin consiglio la lettura del testo della curatrice di "arti sonore" Daniela Cascella http://www.altremusiche.it/sx/testi/recelibri/scultori.htm o quella lettura un po'naive di Oceano di Suono di Davi Toop
    (che è un po', vecchiotto in ogni caso, la controparte romanzata alla rivista mainstream di settore, da consultare obbligatoriamente se si desidera essere informati sui fatti di cronaca relativi alla "musica ... contemporanea" tout court http://www.thewire.co.uk/)
    Quest'ambito che definirei semplificando post-glitch (con le dovute differenze che qui non faccio) anni 90 inoltrato, ha segnato profondamente l'immaginario di molti. Ma è un immaginario sonoro (opinione del tutto personale) che è sempre rimasto profondamente radicato in quello che storicamente è un po'l'animo pop della sperimentazione: certe atmosfere ambient, moduli ripetitivi, drones, ricerca continua di nuove sonorità, sintetiche o concrete, in un contesto che è comunque eufonico secondo quella che è stata, storicamente, la vulgata ambient. E qui si apre un mondo vastissimi di esperienze sonore che spesso è anche limitrofo alla musica popular (ad esempio certa techno o la così detta IDM), o alla popolorizzazione della musica "sperimentale".
    Farò comunque riferimento in questo contesto (perchè me ne intendo poco) a quelle musiche in cui il beat (per quanto opportunamente off, break, poly, drill o smaciullamenti vari delle suddette esperienze) non è parte rilevante della struttura musicale.
    In quest'ambito (tra l'ambient e la musique concrete) vige comunque spesso una sorta di principio di indeterminazione per cui maggiore è l'attenzione al dettaglio sonoro, o alla sua complessità intrinseca (ad esempio in quanto drones o oggetto sonoro), minore è la complessità generale della struttura musicale (nel senso compositivo, ritmico e di tessitura-armonica). E' per questo forse che quando molti compositori parlano di musica elettronica si rivolgono solo a questo "genere" (in particolare a quelle con beat) perchè probabilmente vedono nella sua semplificazione formale (parallelamente alla fascinazione che subiscono per la complessità degli oggetti sonori in gioco) una soluzione alle loro annose questioni strutturali. Bah!
    Alcuni nomi interessanti: Ben Frost, Bernhard Günter (tra questi il mio preferito :), Tim Hecker, Richard Chartier, Alva Noto, Stephan Mathieu, Steve Roden, Olivia Block, Seth Nehil.

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  24. Invece la "Collection Cinéma pour l'oreille" della Metamkine ha segnato un vero e proprio rinascimento per la musique concrète. Ne ha segnato in qualche modo la maturità. Se la fortuna del GRM anni 90 è stata in qualche modo legata allo sviluppo dei celebri GRM tools (utilizzati da una generazione intera di compositori, infatti tutti i brani di quell'epoca suonano uguali n.b. molto catalogo Empreintes DIGITALes suona così), Metamkine ha segnato il punto d'incontro tra la scena sperimentale e lo spirito originario della musique concrete. Utilizzo creativo della catena elettroacustica innanzitutto (e questo dovrebbe essere un imperativo categorico ma lasciamo stare)
    http://www.sands-zine.com/archivioart.php?id=18
    Mi permetto, per esclusivo gusto personale, di suggerire l'ascolto dell'opera omnia di compositori come Lionel Marchetti
    http://spiritualarchives.blogspot.com/2009/01/artists-lionel-marchetti.html
    e Eric La Casa
    http://ascendre.free.fr/home2.htm

    e ci sarebbe ancora molto da dire sulla scena impro e noise ....

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  25. ti ringrazio molto, fabio. vado e torno.

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  26. La verità è che purtroppo ci sono ancora compositori in giro convinti(che tristezza) che esiste una musica di serie A e una di serie B. Una colta( se lo dicono da soli,se la cantano e se la suonano)e una meno colta.i MIEI ALLIEVI CONOSCONO ED ESEGUONO BUSSOTTI,GUACCERO,NONO ETC ETC COSì COME ESEGUONO ZAPPA,BEATLES,PETER GABRIEL ETC ETC.. DURANTE I SAGGI ESEGUONO STOCKHAUSEN,GLASS,PRINCE ETC ETC. SOLO CHI AMA DAVVERO LA MUSICA E CHI è UN VERO ARTISTA LA VIVE CON PACE E SERENITà SENZA CONCETTUALISMI O INTELLETTUALISMI DEBOLI E TRISTISSIMI E SOPRATTUTO SENZA CHIEDERE LA SUA PROVENIENZA..pOI Ognuno avrà pure i suoi gusti MA A ME PERSONALMENTE NON INTERESSANO I GUSTI QUI SIAMO PROFESSIONISTI (CONOSCO MUSICISTI CLASSICI CHE NON SANNO COSA SIGNIFICA SUONARE IN 21/16,SUONARE MUSICA STRUTTURALE,SERIALE,ETC.ETC ETC COSì COME CONOSCO MUSICISTI "d'AVANGUARDI" CHE CON ARIA DI SUFFICIENZA E CON SORRISI DA IMBECILLI DENIGRANO LA MUSICA TONALE (MUSICHE ROMANTICHE,DA FILM,MINIMALISMO,POP MUSIC ETC ETC) PUR NON ESSENDO CAPACI NEMMENO DI SCRIVERE UNA MUSICHETTA PER UNA SCATOLA DI CIOCCOLATINI O DA INSERIRE SOTTO LA PUBBLICITà DEGLI ASSORBENTI. vERGOGNà!!!!!pERSONALMENTE HO SCRITTO E SUONATO DI TUTTO DA PALESTRINA ALLA MERDA DEGLI UCCELLI SUI FOGLI PENTAGRAMMATI. aMO TUTTA LA MUSICA QUELLA PASSATA E QUELLA CHE HO SOTTO IL NASO IN QUESTI GIORNI. SOLO EDUCANDO GLI ALLIEVI ALLA PACE MUSICALE SI POTRà COSTRUIRE UNA VERA E PROPRIA UNITà. M°Stefano Ottomano

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  27. Caro Stefano Ottomano,
    rispondo al tuo appassionato commento in due punti .

    1) Fermo restando che "de gustibus non est disputandum" , non sono assolutamente d'accordo nel mettere tutto sullo stesso piano e credo di averlo sufficientemente motivato, per quanto riguarda ad esempio i rapporti con la musica " contemporanea Popolare", in un altro post di questo blog :
    http://renatorivolta.blogspot.com/2011/09/le-necessita-della-musica-popolare.html
    Esistono musiche scritte per fini esclusivamente economici, per alimentare un mercato che appiattisce i gusti, le menti, la cultura: specialmente dei giovani. E poi esistono musiche scritte per autentiche finalità artistiche o di ricerca. Io preferisco le seconde.

    2) Condivido e apprezzo la passione con la quale ti esprimi, ma su questo blog preferiamo evitare insulti ("imbecilli") e vocaboli non adeguati al dibattito civile ( "merda") tra persone che rispettano le opinioni e gli altri.
    Se vorrai continuare a contribuire a questo blog sarai sempre il benvenuto , ma ti chiediamo di adeguare il tono al contesto . La forma è sostanza.
    Con i miei più sentiti ringraziamenti per l'attenzione

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  28. Carissimo Rivolta il mio era uno sfogo rivolto a tutti quelli da me citati e non al suo articolo che rispetto moltissimo e condivido in molte delle sue parti..Per quanto riguarda la musica scritta solo per scopi economici per me non esiste e mai verrà presa in considerazione dal sottoscritto tanto quanto certa musica scritta a tavolino con l'illusione della ricerca e dello sperimentalismo, ma vecchia quanto una canzone di modugno. Nella musica contemporanea c'è vecchiume quanto in altri generi mi creda... Ribadisco il mio pensiero: chi ha da raccontare non perde tempo a criticare e mi riferisco a certi compositori che al posto di preoccuparsi del loro "Tiro ai dadi" per dare una forma alle proprie composizioni, non perdono occasione per smontare correntimusicali opposte. Posso farle nome e cognome di critici e compositori se vuole ... "Chi fa musica tonale fa solo imitazioni".... "Poi sono arrivati i minimalisti americani e hanno portato tutto alla distruzione..." e tante e tante altre e come se dicessi:"poi sono arrivati gli sperimentalismi e tutti si senono in dovere di spernacchiare due note al trombone e farle passare per musica contemporanea...". Per quanto riguarda le parole "Imnecilli" e Merda le sostituisco volentieri con "Effimeri" e "Inchiostro colato dall'alto dei cieli posizionatosi aleatoriamente su di un foglio pentagrammato. La ringrazio per concederci il nostro pensiero e che ce ne siano di blog come il suo aperti al confronto e non al rifugio in torri d'avorio. M°Stefano Ottomano

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  29. Gentile Ottomano .
    grazie per le precisazioni.
    Nel mio post , forse in modo un po' confuso , ho anche tentato di sottolineare come non sia solo una questione di linguaggio ( avanguardia contro minimal, neoromantici contro techno o che so io..) ma anche e forse sopratutto di rapporto con il mercato e con la rete distributiva della musica, per cercare di uscire dal ghetto e conquistare maggiore spazio e contatto con pubblico più vasto. La questione è molto complicata , e cercherò di precisare meglio questo problema nei prossimi interventi.
    Grazie anche per le sue correzioni , che trovo più poetiche, specialmente "Inchiostro colato dall'alto dei cieli posizionatosi aleatoriamente su di un foglio pentagrammato" .
    Alla prossima !

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  30. Alla prossima :) !!!

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  31. Ciao Renato, colgo l'occasione di questo stimolante ed audace testo che ci proponi per qualche riflessione. Come sai, non sono un "adetto ai lavori", bensì faccio parte di quella maggioranza che va ai concerti come spettatore, che acquista dischi e libri.

    Questo tuo scritto è audace perchè non è semplice dirsi che la musica contemporanea è morta se si è un musicista, così come non lo è per un filosofo dire che la filosofia è morta, per un politico che la democrazia è morta, ecc ecc. Tuttavia se prestiamo attenzione al nostro contesto in modo più ampio, sentiamo molte voci di fatto simili alla tua. Faccio alcuni esempi per intendersi. Ho letto in diverse occasioni del fatto che i recenti cataloghi delle mostre d'arte non rappresentino più un momento di riflessione e di studio approfondito su un dato artista (come pare fu un tempo), ma una collezione più o meno utile di saggi magari anche molto profondi ma nel loro insieme disomogenei, rendendo il catalogo stesso una specie di oggetto d'arredo per le nostre librerie che non genera cultura. Una cara amica che si occupa di design si chiedeva il senso dell'ennessima sedia (magari anche molto innovativa) proposta al salone del mobile. Ed io, infine, noto nel mio campo come la produzione scientifica internazionale sia anche di livello altissimo, ma spesso carente nella visione generale, a volte eccessivamente specialistica.

    In questi tre casi il denominatore comune è un certo senso di stanchezza. O meglio ancora, la mancanza di un ruolo di certe cose nella nostra società. Ed è proprio questa la sensazione quando si va all'ennesimo concerto di musica contemporanea, o si acquista il cd con la registrazione dell'ultimo brano del giovane compositore milanese o dell'anziano compositore francese... Spesso si tratta di musiche interessanti, raffinatissime, ecc, ma poi mi chiedo del senso (o dell'urgenza) di scrivere quel brano o di quella esecuzione in un contesto più ampio. Insomma non percepisco idee forti, autorevolezza, senso (del resto esattamente lo stesso percepisco della nostra situazione politica, che sia il karma italico del momento?).

    Che questa sia la morte della musica contemporanea?
    Oppure si tratta di un periodo di passaggio verso un futuro più radioso?
    Oppure ancora è solo la nostra percezione della situazione attuale, mentre invece ci sono dei giovani/giovanissimi musicisti da qualche parte pieni di idee e vitalità che perà stentano a farsi avanti?

    Non possiedo gli strumenti per dare risposte, ma ci sono alcuni dati certi.

    1) In questi giorni sto leggendo uan specie di autobiografia di Roman Vlad, forse un filo pedante, ma illuminante. Vlad racconta della società culturale e musicale italiana degli anni '50-'60 che dava valore e senso alla musica, parla di 4 orchestre della Rai, parla di dirigenti Rai con la passione della musicologia, ecc. Come non convenire con Vlad sullo scadimento dell'offerta culturale televisiva? Chi non ricorda le belle serie televisive dei Rattalino o dello stesso Vlad su Gould e Michelangeli andate in onda tanti anni fa?

    2) E' vero che ambiti musicali diversi da quello della "musica contemporanea" sono sicuramente più vivi e vivaci: penso al festival Angelica, al mondo della musica di improvvisazione, alla musica elettronica.

    3) percepisco chiaramente una difficoltà a dire qualcosa di nuovo, come se lo spazio delle possibilità sembrasse saturato (ma sarà vero?). A questo punto due possibilità di riduzione del danno: o il concertino un po' esoterico per gli eletti, oppure il postmodern piacione. In ogni caso poca novità!

    Che fare?
    per la musica contemporanea lascio l'onere e l'onore di risollevarne le sorti ai musicisti: potrebbero anche decidere di buttare tutto e riniziare da capo, come succede per le grandi foreste secolari che regolarmente di autoincendiamo per riscrescere più rigogliose di prima. O più verosimilmente potrebbero cercare di dare nuovo senso e autorevolezza a queste musiche.

    Luca

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  32. eccomi. dunque, fabio, mi sono ascoltato un bel po’ della roba alla quale mi hai indirizzato e mi ha fatto piacere scoprire cose nuove che non conoscevo. il settore di cui parli, pur essendo ‘nicchia della nicchia’, è INDUBBIAMENTE un settore importante, ricco di spunti e di idee interessanti e originali e di musicisti intelligenti e raffinati. qualcosa di quel tipo lo conoscevo già (per esempio il lavoro della hanna hartman, che apprezzo molto), ma soprattutto, ovviamente, le cose più ‘lontane’ nel tempo: il libro di david toop, che lessi con interesse quando uscì in italiano, l’etichetta alga marghen, che seguo da quando mi sono interessato, tanti anni fa, all’ala ‘concettuale’ post-cageana italiana – marchetti, mosconi, etc. -, così come nomi come max eastley (che proprio con toop pubblicò un disco nella mitica collana obscure di brian eno) e max neuhaus. per non parlare della musica concreta ed elettronica ‘storica’, da schaeffer e stockhausen in avanti (e qui sia detto per inciso: alla tua un po’ maligna espressione “per chi invece quando sente "musica elettronica" pensa ad autechre o aphex twin” vorrei replicare che non è che io identifichi la musica elettronica con autechre o aphex twin perché non conosco altro, ma semplicemente perché la musica elettronica CHE MI PIACE E MI E’ PIACIUTA DI PIU’ da un certo momento storico in poi (diciamo dagli anni settanta, quindi esclusi i primi pionieristici vent’anni, che amo molto) è quella che si trova in certo ‘pop’): ho prestato poi di volta in volta attenzione anche alla poesia sonora e, più tangenzialmente, alle scene noise e ‘free’, da derek bailey ai throbbing gristle. amo quindi, da sempre compositori come lamonte young e alvin lucier, come gran parte dell’ambient storico e più recente, etc. etc.
    delle cose che non conoscevo ho apprezzato in particolare lionel marchetti e ho ascoltato con molto interesse anche il tuo brano ‘death by water’. insomma, grazie della dritte.
    (continua)

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  33. ora, come si ricollega tutto questo discorso al post di renato? be’, in un modo semplice secondo me: esso contribuisce a illuminare la crisi in cui versa da anni la ‘musica contemporanea’, nel senso che, in generale, è molto difficile comprendere le ragioni di una crisi se rimane all’INTERNO di un ambiente. i musicisti che operano nella mus cont (come qualunque altro musicista) non possono comprendere quello che è accaduto nel loro settore se non alla luce di quello che è accaduto nella MUSICA tout court, in tutta la musica degli ultimi trenta (o se si vuole anche quaranta, cinquanta o sessanta, a seconda dei punti di vista) anni. finché i generi musicali sono stati più o meno nettamente separati tra loro (cioè all’incirca fin verso la metà degli anni settanta) ciascuno di essi aveva un proprio pubblico, ampio, medio o ristretto che fosse, che garantiva non solo la sopravvivenza del genere, ma anche la circolazione delle idee e delle informazioni: nella mus cont non c’erano solo, come oggi, le esecuzioni delle opere nei festival specializzati – c’erano i dibattiti, i confronti, c’erano i dischi, i libri, le riviste, i giornali, i media in generale (radio e addirittura televisione!) che ne parlavano: quello che si chiama un ‘circolo virtuoso’, insomma. cos’è successo, poi? be’, intanto è successo che – e questa è la cosa che, per ovvie ragioni, i compositori di mus cont tendono a negare – l’avanguardia, lo spirito di ricerca e di sperimentazione SI E’ UN PO’ INARIDITO: mettiamola come vogliamo, ma è INNEGABILE che dalla metà circa degli anni ’70 la mus cont sia entrata in una fase ‘manierista’ e non abbia più avuto quei sussulti, quelle spinte propulsive, quelle scoperte potenti e originali che hanno caratterizzato i suoi primi vent’anni di vita. nessun compositore nato dagli anni cinquanta in poi ha avuto (ha) quel carisma, quella forza di attrazione, quello status di punto di riferimento assoluto che avevano avuto cage, stockhausen, boulez, ligeti o nono. una MIRIADE di compositori, più o meno bravi, ha così invaso la scena degli anni ottanta senza che siano emersi nuovi nomi-guida. tanti bravi (bravini, bravissimi) compositori che hanno di volta in volta presentato tante (più o meno) interessanti opere quasi tutte cadute nell’oblio dopo la prima esecuzione, opere rappresentative di correnti e ‘scuole’ sempre più melliflue nel loro essere ‘neo-qualcosa’ (neo-romantici, neo-strutturalisti, neo-tonali, etc. etc. – laddove le ultime due tendenze forti e originali sono state la minimalista e la spettrale). la situazione che si è venuta a creare negli anni ottanta non è sostanzialmente mutata fino ad oggi: si è semplicemente prolungata attraverso due o tre nuove generazioni di compositori. e questo, per me, è un fatto.
    (continua)

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  34. contemporaneamente a questo processo di involuzione c’è stata l’esplosione del fenomeno pop: una musica, ad onta della sua vocazione commerciale, che si è rapidissimamente differenziata in una miriade di correnti che vanno dalle più tradizionali e melense della musica leggera alle più sperimentali e oscure (e che toccano e spesso si sovrappongono alla scena di cui parla fabio), ciascuna (in virtù di un ben diverso mercato rispetto a quello della musica colta) con un suo determinato pubblico. il pop può essere ritenuto in questo senso un compendio della musica del novecento, una vulgata di tutte le sue tendenze. Il pubblico giovanile è andato lì a cercare la sua musica. dopo i concerti di stockhausen o di cage, ai quali, com’è noto, accorrevano negli anni ‘60 e ’70 molti hippies e freaks, oltre a quella parte del pubblico della musica classica che amava ‘tenersi aggiornato’, i concerti di mus cont hanno cominciato a svuotarsi: se la parte ‘colta’ del pubblico che aveva seguito le avanguardie non trovava più granché interesse nella loro fase ‘manierista’, i giovani cercavano, dal canto loro, la sperimentazione altrove. insomma, per farla breve: sono rimaste in piedi le istituzioni (non solo festival e stagioni liriche e concertistiche ma anche conservatori e corsi di perfezionamento in composizione) e i finanziamenti ad esse profusi (sempre più risicati, ovviamente) ma la ‘materia prima’ (la musica più originale e di forte impatto) e, di conseguenza, il pubblico si sono diradati. ora, io penso dunque che quello che di buono c’è nella musica di oggi (e che è trasversale alle diverse tendenze e ai diversi ambienti) sia nascosto da un lato dal ‘mainstream’ pop e dall’altro da ambienti un po’ asfittici come appunto quello della mus cont accademica, che sembrano autoriprodursi per partenogenesi. un modo per uscire dall’impasse può essere quello di mettere i festival e le stagioni concertistiche in mano a direttori artistici ‘illuminati’ (esistono ancora?) che aprano a tutte le tendenze e vadano, anche personalmente, in cerca di un ‘nuovo’ effettivo, di cui la scena presentata da fabio costituisce senz’altro un aspetto interessante (anche se non certo il solo – ma qui si aprirebbe una parentesi che mi porterebbe lontano e renderebbe ancora più contorto il mio discorso). mi fermo qui. non sono riuscito ad articolare un discorso come avrei voluto, ma d’altra parte in un blog non è cosa facile, specie quando la questione è così complessa. spero comunque di esser riuscito a dare qualche spunto di riflessione. Un caro saluto a tutti.

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  35. Condivido molti pensieri del post, e ringrazio Renato Rivolta per gli spunti di riflessione. A livello personale, penso che bisogna mantenere il coraggio di osare, non "osare perdere" (cit. lindo ferretti) ma "osare vincere". proporre cose forti e con forza, malgrado i fondi pubblici, le accademie, i governi, i sottogoverni. puntare sull'ascolto, non solo della musica, ma del mondo e degli esseri che lo creano, una vita di suoni nei suoni. il valore di qualunque musica si realizza quando non riguarda me, ma anche tu, voi, in un contatto che può essere di piacere, di provocazione, di contestazione, di rabbia, di colore, di affermazione. ma si ha il coraggio di puntare su se stessi, sulle reti, sui gruppi, sul web 2? Queste cose richiedono impegno, apertura, saperi in trasformazione. Ritengo che non esistono problemi di genere musicale, ma problemi "umani", capacità di adattamento in primis. è tempo di contatti e di veicoli fluidi, di dialogo. semplicemente, un tempo erano pochi (partiti, istituzioni pubbliche e private) i soggetti che avevano in mano le redini della comunicazione e della diffusione del sapere. ora non più, occorrono persone che sanno stare al mondo, ritagliandosi lo spazio che sanno di meritare.

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  36. vorrei ribadire una cosa che ritengo importante ai fini della discussione: col termine 'pop' io non intendo tanto un genere musicale, quanto l'intero spazio entro il quale si produce e si ascolta musica, oggi. ('pop' non è soltanto un modo di fare musica, ma anche un modo di ascoltarla. siamo nel 'pop' come i longobardi erano nel medioevo e gli enciclopedisti nell'illuminismo).

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  37. RISPOSTA AL COMMENTO ( in 3 puntate, del 4 gennaio) di MARCO:

    Grazie Marco ,
    trovo la tua analisi molto lucida e in buona parte coincidente con la mia, anche se io pongo l'accento anche sul più ampio contesto sociale nel quale i fenomeni culturali e artistici avvengono e di cui sono un riflesso. Perciò ho sinteticamente riconosciuto nella strisciante crisi del turbocapitalismo finanziario il motivo del conclamato esplodere attuale della crisi delle vecchie avanguardie.
    Del resto mi pare che anche tu sei ben consapevole di questo, quando affermi che l'arte deve parlare alla società , e proporre valori condivisi :
    "il valore di qualunque musica si realizza quando non riguarda me, ma anche tu, voi,.."
    Sulla parte finale del tuo intervento , la "ricetta" per la riconciliazione, sono un po' più dubbioso. I direttori artistici "illuminati" sono indispensabili , ma forse non sufficienti .
    E ' probabile che ciò che ci attende , qui nella parte debole dell'Europa, sia una progressiva uscita dello Stato dalle imprese culturali, sul modello americano . Andiamo incontro ad una diminuzione radicale dei finanziamenti disponibili per la cultura e per la musica , e ad una trasformazione conseguente di tutto il panorama istituzionale. Sarà ancora più difficile, per gli "outsiders" sopravvivere fuori dal web: mentre invece la società chiede musica live , con artisti presenti in carne ed ossa ,e performances nel mondo reale ....

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  38. > Marco Lenzi :

    dunque , il "Pop" come ecoambiente, come "environment". al quale non ci si può sottrarre, come l'aria che respiriamo.
    Molto interessante.

    Cioè allora, allargando il tuo concetto , nemmeno la musica "classica" sfugge al contesto sociale "pop". Ecco perchè il divismo di solisti e direttori , l' aura mediatica intorno agli eventi ( il 7 dicembre della Scala , ad es.) . Resta da vedere se questa modalità "pop" di fruire dei fenomeni artistici sia la più adatta per l'ascolto di musiche che intrinsecamente , "pop" non sono .
    Perchè è inutile girarci intorno , per ascoltare e "capire" Webern ad esempio , bisognerebbe saperne un po' di dodecafonia.
    Nulla toglie che chiunque può ascoltare le variazioni per orchestra senza sapere un acca di serialismo e trarne comunque un godimento estetico , ma sarebbe meglio essere competenti .
    Ritorna in campo qui tutto il dibattto degli anni '50 e '60 su "alto" e "basso" . Temo che di quella generosa volontà di avvicinare la Cultura alla cultura ne abbiamo fatto eccessivamente un feticcio , col risultato che adesso non si capisce più cosa vale e cosa no .

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  39. Carissimi, il vostro dibattito è interessante e informato, e utile a chi, come me, si chiede spesso cosa si nasconda dietro all'etichetta Musica Contemporanea. Rimane il dubbio che non esista una risposta sociologica a questa domanda, ma che vi siano alcune sensate osservazioni da fare, che propongo in modo pacata. In primo luogo mi chiedo se abbia senso affidare a un compositore la Guida di uan Struttura come la Biennale Musica, indipendentemente dl valore e dall'onestà intellettuale del compositore stesso.
    Allo stesso modo il discorso sulla competenza è pericoloso:in primo luogo mi chiedo cosa voglia dire ascoltatore competente. Spesso è un'astrazione antropologica. Il dire invece che ci voglia un po' di competenza per ascoltare la musica è certamente vero. Vale per Corelli, vale per Boulez, vale persino per Tuur, ma il problema è tutto interno alle poetiche compositive. L' Avanguardia, di cui sento nostalgia ( non la sento invece di molti dei suoi corifei, giovani e meno giovani, che discettano adornianamente di questioni di cui non sanno, adornianamente, un fico secco) non mi sembra che cercasse un rapporto privilegiato con il pubblico: aspirava, molto più semplicemente a cambiarlo. desiderio legittimo di molte forme d'arte. In Italia si è giustamente difeso questo patrimonio utopico con tutti i mezzi, lo si è fatto bene, e lo si fa ancora benino, con alcune forme di miopia (penso a una compositore come Gilberto Cappelli, che meriterebbe molta più attenzione, ma è solo un nome frai tantissimi che mi corrono in mente). Quello che manca è una programmazione culturale, che sostenga le rassegne concertistiche. Si fa poco, e quel poco, spesso è fatto male. Come avvicinare i giovani, se si propongono le stesse metodologie degli anni settanta. Come molti cinquantenni ho rimpianoto per i begli anni in cui Abbado circondava i classici del novecento di mostre , convegni , rassegne. Oggi si potrebbe fare molto di più, le stesse forme informatiche (scusate il bisticcio, ma non voglio usare l'espressione strumenti, che sono un'altra cosa), permetterebbero di fare molto di più. In questi anni ho fatto ascoltare in aula, spiegandone alla meglio le forme interne Dallapiccola , Nono, Stockhausen Bartçk, con risultati incoraggianti. Se si volesse lavorare con cura sulle scuole , si potrebbe fare moltissimo. manca completamente una programmazione di questo tipo, che non è solo storica, come vorrebbero tutti gli eredi del post idealismo adorniano, ma tematica, parametrica, concettuale e materica .
    E per comprendere Corelli si deve far fare la stessa , benefica fatica, per avvicinarsi di più al senso interno di un'opera

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  40. @ renato chapeau! QUELLO è il cuore della questione, il nocciolo del problema. è proprio di quello che, secondo me, si dovrebbe parlare. mi hai tolto, come si suol dire, le parole di bocca. appena ho un po' di tempo ti dico che ne penso (ci vuole un po' di tempo a disposizione per affrontare questo tema, terribilmente difficile e attualissimo).

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  41. Quando si parla di musica contemporanea e dei suoi fruitori mi colpisce l’oggetto del discorso: molti pensano alla partitura (o ai supporti usati per generare il suono, o al lavoro del compositore) e alla sua esecuzione più o meno “creativa”, e basta… A me pare che sia più utile parlare di un esperienza fra persone in un dato spazio e in un dato tempo, un’eseperienza che comporta ANCHE il suono. E che però deve essere un’esperienza tale da convincermi ad uscire dal mio comodo salotto con schermo piatto, sistema home-theatre e offerta infinita on-demand (Youtube compreso). Di conseguenza responsabilità, onori e oneri mi sembra di doverli equamente distribuire.

    p.s. [Renato] “per ascoltare e "capire" Webern ad esempio , bisognerebbe saperne un po' di dodecafonia”. Sono in totale disaccordo! (intendendo il “capire” alla luce di Gadamer e non di Adorno, che è parecchio più morto di noi) ☺

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  42. Marco, mi trovi d'accordo sul considerare la "scena" che ho presentato come non esaustiva. Ridurre la sperimentazione musicale ad una scena musicale sperimentale è certo già una semplificazione. L'ho contestualizzata solo in riferimento a quello che ho constatato essere un certo interesse dei compositori per quella "scena". In fondo il progetto che mi riguarda e che citi (grazie), l'abbiamo potuto realizzare in parte grazie alla Biennale e all'interesse di Luca Francesconi. Non riesco invece a seguirti in quello che ritieni essere il ruolo dell'ascolto e del pubblico ma avremo spero modo di discuterne, magari in altro post.ciaoo
    Fabio

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  43. fabio, la questione del 'pubblico' è insieme ovvia e problematica. 'ovvia' nel senso, banalissimo, che, qualsiasi cosa si faccia, CI VUOLE un pubblico: qualcuno (non i nostri amici, né tantomeno nostra zia) che SI INTERESSI di quello che si fa (che CERCHI, che ASCOLTI, che PARLI con gli altri di quello che si fa). al di là delle operazioni di marketing, da un lato, e dei finanziamenti statali, dall'altro (cioè al di là del COME quello che si fa si renda 'visibile' - aspetto che costituisce e riguarda,anche, la problematicità della questione), è il 'pubblico', per piccolo e ristretto che sia, che tiene in vita o decreta la morte di quello che si fa. "perché non c'è un pubblico (vero)?": questa è una domanda fondamentale, che chiunque faccia 'arte' deve porsi. certo, non è una domanda che un artista deve porsi PRIMA di fare qualcosa (non si deve ovviamente MAI pensare al pubblico quando si fa quello che si fa); ma poi, una volta FATTO questo qualcosa, è inevitabile - e vitale - che questa domanda uno se la ponga. certo, può darsi benissimo che il fatto che non vi sia un pubblico dipenda da berlusconi e da maria de filippi (dal rincoglionimento generale e progressivo, dall'abbassamento del livello culturale del pubblico medio, etc. etc.), ma poi, alla fine, se uno non trova il suo pubblico (che, ripeto, non deve necessariamente essere un pubblico che ti mantiene economicamente ma che semplicemente 'tiene viva' la tua musica, che la fa 'girare') allora può darsi che dipenda da quello che si fa (cioè, ovviamente, dalla BONTA', dalla QUALITA' di quello che si fa. :-)

    PS baricco, nel suo noto libello, aveva chiaramente posto il problema, salvo poi attribuirlo, cretinamente, alla questione linguistica (consonanza vs. dissonanza, beat vs. assenza del beat e altre merdate, appunto, a la frova, sulla presunta naturalità di certe aspettative di ascolto).

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  44. Buongiorno,

    il suo post è stata la scintilla per la nascita di un nuovo blog sulla musica di oggi. Grazie e buona lettura sui commenti: http://www.nuthing.eu/

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    1. Buongiorno, mi fa moltopiacere . Il vostro bolg è già tra i miei"preferiti" . due suggerimenti:

      1) aggiungete il feed per iscriversi via mail
      2) il mio intervento nel dibattito sulla musica contemporanea non aveva alcuna intenzione "nostalgica" , come voi mi attribuite. Cerco solo di avere una visione equilibrata sulle dnamche tra i vari linguaggi musical della contemporaneità, discernendo, fin dove posso, tra ciò che vale e resterà, e ciò che è solo schiuma del tempo, per usare un titolo di Gérard Grisey.

      Ciò detto, buon lavoro !

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