"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


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"Tutta la musica è contemporanea."

giovedì 23 gennaio 2014

In certe curve del tempo: Claudio Abbado e Luciano Berio
















Nella vita di ciascuno vi sono momenti nei quali fatti e accadimenti esterni inducono riflessioni che possono farci ritenere di vivere una svolta che si potrebbe definire storica, un cambio di epoca.
Per me, due fatti recenti apparentemente sconnessi tra loro, ma legati da una trama  sottile di pensieri personali: la pubblicazione degli scritti di Luciano Berio, che coprono un arco temporale di oltre cinquanta anni,  e la scomparsa di Claudio Abbado.
Due musicisti italiani, ma cosmopoliti, e particolarmente consapevoli della necessaria coincidenza tra la dimensione artistica e quella civile della loro professione.
Convinti che la musica non sia intrattenimento ma autentico strumento di conoscenza e promozione sociale.
I loro percorsi così unici e irripetibili si sono incrociati ben poche volte, a quanto io  sappia, ed é  un vero peccato. 

Ma che si tratti dell’immortale e sterminato patrimonio di musica che ereditiamo dal passato e che é nostro dovere trasmettere alle nuove generazioni interpretandolo alla luce della cultura attuale, in modo rigoroso ma creativo e appassionato, per evidenziarne quello che può dire alla società contemporanea; oppure che si tratti di creare nuova musica che “parli” al mondo attuale, ne interpreti i nodi culturali più fertili per esplicitarli in un’opera sonora anche problematica, complessa ma densa di energie, all’incrocio tra i vari campi del sapere, Abbado e Berio sono stati, ciascuno nella propria specifica disciplina, due portabandiera. Un piede nel “mestiere”, saldamente ancorati alla tradizione e al “saper fare” ai massimi  livelli,  e un piede nella strada, per andare incontro al mondo, in un’opera instancabile di agitatori, di promotori culturali, per aprire l’arte al mondo e alla società.  Perché “ la musica migliora il mondo”.
Luciano Berio manca da più di un decennio, ma io ho l’impressione che nessun altro compositore/intellettuale abbia ancora saputo continuare lo sviluppo delle complesse tematiche interdisciplinari da lui delineate in una carriera di più di 50 anni; e Claudio Abbado lascia dietro si sé un vuoto che al momento sembra incolmabile, non solo per le vette interpretative che ha saputo raggiungere in un repertorio vasto e diversificato (dal Melodramma al Romanticismo al Novecento storico e così via) ma anche per la capacità unica di farsi  “organizzatore di cultura”, fondando orchestre,  promuovendo iniziative che fanno della musica strumento di crescita del sentimento di comunità (come egli amava spesso dire) e di condivisione di valori umani e civili.
Di fronte a queste due carriere a loro modo esemplari, mi sono posto una domanda forse ingenua: se queste due personalità così carismatiche e incisive, così lucide e determinate fossero oggi all’inizio della loro attività, diciamo tra i 20 e i 30 anni, e si trovassero a fare i conti con la situazione attuale, sarebbero in grado ugualmente, pur con tutte le loro qualità artistiche e umane, di percorrere la stessa lunga strada e realizzare gli stessi risultati?
Questa domanda ingenua porta obbligatoriamente alla riflessione sulle conseguenze che il contesto  sociale provoca nella cultura e nelle arti. E in questo quadro a me appare chiaro che Abbado e Berio erano gli “uomini giusti al momento giusto”: l’ Italia della seconda metà del XX secolo, percorsa da fermenti sociali turbolenti ma fecondi, nei quali tutti i valori, i costumi, gli equilibri venivano rimessi in discussione, era il contesto più favorevole per l’azione di artisti dotati di lucida coscienza del proprio ruolo, volontà di rinnovamento, impegno civile, creatività e visione lungimirante.  Non dico che abbiano avuto vita facile, tutt’altro: certamente hanno dovuto combattere fin dall’inizio battaglie dure, osteggiati dai custodi di malintese “tradizioni”. Ma lo facevano sapendo di interpretare i bisogni che la società in senso più ampio, pur in modo confuso e contradditorio, chiedeva loro. Rinnovando metodi di lavoro, procedure, proposte culturali  delle Istituzioni  che si  trovavano  a dirigere.
Ma oggi?
Si può interpretare la storia della cultura alla luce del contesto socio-economico oppure, al rovescio, si può interpretare la società alla luce dei suoi fenomeni culturali e artistici. Qualche volta le due dimensioni sono  “in fase” , altre volte no.
Per quanto riguarda il nostro tempo, sembrerebbe che da entrambi i punti di vista la società contemporanea del mondo occidentale attraversi un periodo di decadenza, sociale e artistico/culturale.
Anche se vi sono indubbiamente nuovi fermenti artistici e vaste espressioni di un disagio profondo che non mancheranno di emergere prima o poi con forza dirompente, provocando un cambiamento oggi imprevedibile, il modello sociale del capitalismo post-industriale mostra finora di non essere in grado di risolvere il problema di una meglio equilibrata distribuzione della ricchezza, e nell’ultimo ventennio ha anche provocato la più grande, mostruosa esclusione dei giovani dal lavoro che la storia recente ricordi:  appare bloccato, incapace di rinnovarsi in senso più “sociale”, schiavo come é della ferrea logica del “mercato”, per il quale l’unico valore possibile delle attività umane, siano esse manifatturiere o artistico/culturali, é rappresentato  dal valore economico che se ne può estrarre a vantaggio di privati.
In tale contesto la “cultura” e i media ad essa legati, tranne eccezioni isolate, non paiono in grado di offrire risposte profonde, ma si limitano da un lato alla celebrazione talvolta un po’ museale del passato, oppure sono ripiegati in attività di studio/ricerca autoreferenziali; dall’altro cedono alle esigenze di un mercato dell’ entertainment che fa della cultura e dell’arte un business più o meno analogo a tutte le altre attività  di vendita e consumo delle merci.
Eppure, oggi più che mai l’esempio di Abbado e Berio (che qui non abbiamo alcuna intenzione di monumentalizzare e dei quali vediamo, oltre agli  altissimi meriti, anche i limiti) appare oggi un riferimento ineludibile per chi, da intellettuale, da “operatore della cultura” , intenda agire per l’affermazione di valori non solo  artistici ma anche civili.

In questi pochi giorni che ci separano dalla scomparsa di Claudio Abbado, come tutti ho avuto modo di rivedere/rileggere sue interviste, dichiarazioni, apparizione televisive.
Fra i ripetuti appelli pubblici che egli aveva fatto a favore della cultura, che il contesto  paludoso dei media spesso facevano apparire rituali e forse un po’ scontati, una sua piccola frase detta in modo semplice durante una conversazione con l’intervistatore mi ha profondamente colpito: 

“ QUANDO UNA COSA É  GIUSTA SI FA, E BASTA. Poi i  problemi  si risolvono facendola” .  

Ecco:  alla base di tutte le grandi, spesso utopistiche imprese che Abbado ha realizzato, c’é  questa convinzione intima, e il conseguente coraggio di sfidare gli ostacoli, le tradizioni  consolidate, le mille resistenze, sapendo di basarsi su un paradigma valoriale necessario, utile alla comunità, per rendere il mondo un po’ migliore.
Si dirà che Abbado, col suo indiscusso prestigio, poteva mobilitare risorse economiche e istituzionali ingenti con le quali supportare adeguatamente i suoi sogni: ciò non é del tutto vero (ci sono state sue iniziative che non hanno avuto lo sviluppo sperato) ma sopratutto, come ho detto più sopra, tutta la sua vicenda professionale é stata vissuta con questo coraggio e determinazione, anche agli inizi, quando non godeva certo del riconoscimento unanime che oggi gli  viene tributato, e quando convincere gli altri era molto più  difficile.
Allo stesso modo Luciano Berio é stato un intellettuale capace fin dall’inizio di far convivere la propria intensa attività compositiva con una grande capacità di organizzatore e promotore di iniziative di divulgazione, di coinvolgimento di un più ampio  pubblico. Basti pensare alla serie di trasmissioni  RAI “C’é musica e musica”,  ancora oggi un modello  insuperato di divulgazione della cultura musicale più complessa attraverso il medium più popolare che esista, la televisione.
In conclusione, quale potrebbe essere per noi  oggi la “svolta epocale” che stiamo vivendo?
E’ probabile, anzi sperabile, che in breve tempo le tensioni latenti nella nostra società apparentemente congelata, bloccata come un Narciso che si specchia nel proprio riflesso, si sprigionino di colpo provocando cambiamenti oggi imprevedibili. E’ successo così nelle recenti “primavere arabe”, perché non potrebbe succedere anche nel nostro continente? Ma nel frattempo, e per far sì che questo cambiamento ogni giorno più urgente possa essere accelerato, mi pare più che mai doveroso ricordare Claudio Abbado e la sua opera facendo mia quella sua semplice, piana frase:
Quando una cosa é  giusta si fa, e basta.
Certo, bisogna anche essere in grado di riconoscere quale é  la cosa  giusta da fare: ma mi pare che il primo passo per capirlo sia quello di non fare confusione tra la - pur legittima- ambizione personale e la consapevolezza che il nostro mestiere, fare musica, ha senso se diventa veicolo per la costruzione di una comunità:  in primo luogo chi lavora con noi, poi il  pubblico che ci ascolta, infine, nel senso più  lato, la Società.
Perché la musica fa il  mondo migliore.  

2 commenti:

  1. che bello,mi piace molto.Una bella occasione per ricominciare potrebbe essere quella di riunire le forze,di chi ha capito che la musica non è solo per pochi eletti,così come Abbado e anche Berio hanno sempre sostenuto.Se non roa,quando? ;) Posso pubblicare su fb? Cristina Barbieri

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  2. molto interessante...scritto con lucidità notevole. L'unica cosa che non condivido é l'esempio delle "primavere arabe".
    che secondo me non sono assolutamente un' espressione spontanea della volontà di cambiamento bensi' il risultato di macchinazioni diplomatiche e geopolitiche...

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