"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


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"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

giovedì 24 novembre 2011

LA CIA finanziò la musica contemporanea europea ( II parte)

Dwight D. Eisenhower
Come racconta Frances Stonor Saunders nel suo libro Gli intellettuali e la CIA - La strategia della Guerra Fredda Culturale (Roma, 2004), fu Dwight D. Eisenhower, Presidente degli Stati Uniti dal 1953 al 1961, a teorizzare con chiarezza quale dovesse essere lo scopo finale della Guerra Fredda Culturale: "un progetto politico e un piano di  guerra psicologica il cui fine doveva essere vincere la terza guerra mondiale senza doverla combattere" . "Il nostro scopo non è conquistare o sottomettere con la forza un territorio. Il nostro  scopo  è più  sottile, più pervasivo, più completo. Stiamo tentando, con mezzi  pacifici, di  fare in modo  che il mondo  creda alla Verità. E la Verità è  che gli  americani vogliono un  mondo di  pace, un mondo  in cui  tutti  abbiano  l'opportunità  della massima crescita individuale. I mezzi  che impiegheremo  per diffondere questa Verità sono chiamati, di frequente, "psicologici". Non ci  s'inquieti per questo  termine: è  solo  una parola di  cinque sillabe. Guerra psicologica è  la battaglia per conquistare le menti e la volontà  degli  uomini."  La CIA operava insomma per fare in modo che le persone, per proprio ragionato  convincimento, fossero convinte che qualsiasi  cosa facesse il  Governo  americano era giusta.


Alla fine della I parte avevamo descritto il  festival di  musica contemporanea  di  Parigi del 1952. Nel frattempo il compositore Nikolas Nabokov, coordinatore per conto della CIA delle iniziative in campo musicale, si era trasferito a Roma, dove tra il 1953 e 54 fu Direttore dell' American Academy. Da questa posizione di prestigio, Nabokov lanciò la "Conferenza Internazionale della musica del XX secolo" che , sotto  gli  auspici e con il  finanziamento  del  Congresso per la libertà della Cultura (cioè della stessa CIA) si doveva tenere a Roma nella primavera del 1954, con una serie di concerti di musiche proibite nei paesi dell' Est Europa, e un premio internazionale di composizione per opere d'avanguardia.
Per il finanziamento, come sempre la parte più consistente arrivò dalle Fondazioni americane, quali la Farfield di Julius Fleischmann ("magnate statunitense del gin e dei lieviti") e la Rockefeller, tramite le quali  la CIA faceva passare le sue "generose donazioni". Anche il  Governo  Italiano avrebbe dovuto dare il suo contributo, con la somma di 2,5 Milioni di Lire: ma il denaro  non arrivò. I governanti Italiani non perdono evidentemente mai l' occasione per confermare la loro granitica affidabilità... Comunque Nabokov, che se l'aspettava, non parve scomporsi molto, limitandosi  ad affermare ironicamente che  quel denaro  si era probabilmente perso tra le rovine del Foro romano. Del resto, aveva ben altre fonti di finanziamento da cui attingere ! 
La giuria del concorso era formata da Igor Stravinskij come presidente (Nabokov invitò anche in questa occasione il  suo vecchio  amico e conterraneo, garantendogli un rimborso di 5.000 USD più viaggio, soggiorno e spese per il Maestro, la moglie e i rispettivi segretari) e da Barber, Blacher, Britten, Chavez, Dallapiccola, Honegger, Malipiero, Martin, Milhaud, Thompson. Charles Munch aveva proposto di includere nel comitato anche Arturo Toscanini, ma Nabokov obiettò, sostenendo che "collegare il nome di  Toscanini a un progetto  relativo alla musica contemporanea suona perlomeno anacronistico. Il buon maestro.. è sempre stato  un  deciso  e coerente nemico della musica contemporanea e, in più occasioni, ne ha attaccato i principali  esponenti." 
Sostenuti esteticamente anche dalla recente "conversione" del grande Stravinskij al linguaggio seriale, il Festival diede importanza preminente alla musica atonale e dodecafonica, con opere di  Berg, Carter, Dallapiccola, Nono, Fricker, Harrison, Peregallo, Henze, Vogel e altri. Scrive ancora Frances Saunders: "Secondo  Nabokov, promuovendo  una musica che affermava di  volersi liberare dalle gerarchie naturali e affrancarsi dalle precedenti regole......si  diffondeva un chiaro messaggio politico". (!?!)
Circa le polemiche  che la Conferenza Internazionale della musica del XX secolo provocò nell'ambiente musicale italiano, a proposito dei dubbi sulla "democraticità" della sua gestione e sulle scelte di programmazione, è particolarmente gustoso, anche per il linguaggio affettato e che oggi  suona demodè, lo scambio epistolare tra Nabokov e il fascistissimo compositore Adriano Lualdi, che qui riportiamo, e che vale a ricordarci che le dispute di potere, travestite o meno da polemiche estetiche, sono una costante nella storia della musica e delle arti. 
Va segnalato anche, a margine, che nemmeno in  quella occasione il  giovane Boulez smentì la sua nomea di polemista al vetriolo e provocatore quando, forse offeso di non figurare tra i compositori eseguiti (?), scrisse a Nabokov una violenta lettera nella quale lo accusava di "incoraggiare il folclore della mediocrità" curato  da "gretti burocrati ossessionati  dal numero  dodici (la serie dodecafonica N.d.R.) ma che non capivano nulla del processo creativo." La lettera  terminava con il sarcastico suggerimento  che la prossima iniziativa del Congresso fosse una "conferenza sul ruolo del profilattico nel Ventesimo Secolo." No comment.  
La  villetta sede del
Internationales MusikInstitut Darmstadt
Ma facciamo un passo indietro di pochi anni e torniamo nella cittadina tedesca di Darmstadt, cui abbiamo già accennato nella I parte, ricordando come fin dal 1946 fossero iniziati, con il  supporto finanziario del OMGUS (Office of the Military Government of the United States) gli Internationale Ferienkursen für Neue Musik, istituiti per far conoscere ai giovani compositori la musica che i nazisti avevano messo al bando, e in particolare quella dodecafonica di Schoenberg. Dal bel libro di Alex Ross, The rest is noise, veniamo a sapere che già nei primi anni dei corsi estivi iniziarono le dispute estetico/politiche tra i compositori, e che l'inclita comunità di musicisti veniva ad assumere sempre più le sembianze di  una conventicola di  aristocratici, chiusa nelle sue speculazioni linguistiche e aliena, se non dichiaratamente allergica ad ogni forma di  comunicazione con il pubblico dei non "addetti ai lavori". Nelle sue memorie, Hans Werner Henze scrive  della scuola di Darmstadt che "la musica era considerata un Gioco delle perle di vetro, un fossile della vita.... il pubblico di  appassionati  e di  consumatori  di  musica doveva essere ignorato....qualunque incontro  con  gli  ascoltatori che non fosse catastrofico e scandaloso macchiava l'artista...il  lavoro  del compositore consisteva nello  scrivere musica ripugnante e scioccante, che fungesse da veicolo per l' assoluta crudeltà." 
E infatti, il Colonnello Ralph A. Burns, direttore della Sezione Affari Culturali dell' OMGUS, in un rapporto del giugno 1949 scrisse che i Ferienkursen "si erano guadagnati una reputazione di unilateralità...c'è stato un consenso quasi  unanime sul fatto che gran parte di questa musica è  priva di  valore e sarebbe stato meglio se non fosse stata eseguita. E' stato espresso un certo  rammarico per l'eccessivo  rilievo concesso  alla musica dodecafonica. Un critico ha definito i concerti come il Trionfo del dilettantismo". 
Secondo lo studioso David Monod,  sostenendo i corsi di Darmstadt e molte altre iniziative nel campo della musica contemporanea, alla fine "l' OMGUS contribuì involontariamente a determinare la separazione tra il moderno e il popolare". 
E probabilmente, quando gli organizzatori della Guerra fredda culturale si  accorsero che la musica contemporanea europea riguardava una porzione trascurabile del pubblico, poco per volta rivolsero le loro attenzioni (e i relativi finanziamenti della CIA) là dove avrebbero potuto avere più seguito e magari muovere anche ingenti capitali privati, come ad esempio nella pittura d'avanguardia, e così promossero mostre e pubblicazioni degli esponenti del Espressionismo astratto (De Kooning, Pollock, Baziotes e altri), oppure romanzieri e letterati che meglio interpretavano, a loro parere, l'anima profonda dell'America popolare. 


La situazione cambiò abbastanza presto e radicalmente negli Stati Uniti, dove gli unici compositori che continuarono a godere fino alla fine dei favori "governativi" furono non a caso Copland, Bernstein e i pochi altri che scelsero di utilizzare un linguaggio più immediato, anche se non necessariamente "semplice". 
Possiamo dunque  dire che più o meno nella seconda metà degli anni '50 si può datare la svolta della Guerra fredda culturale in direzione del "mercato", che è in fondo la caratteristica più naturale e profonda del capitalismo americano. La diffusione degli ideali dell' American style of life si identificava, anche nella cultura, con il Mito  dell' intellettuale di successo che sa parlare al middle brow con un linguaggio comprensibile e carico dei valori "autenticamente americani". Gli altri, restassero pure nel loro isolamento, a insegnare nelle cattedrali universitarie della Ivy League
Per quanto riguarda l' Europa invece, purtoppo il documentatissimo libro della Saunders non ci rivela per quanto tempo ancora le "misteriose" Fondazioni americane abbiano continuato a finanziare la musica contemporanea d'avanguardia. D'altro  canto, già dalla metà  degli  anni  '50 si  può  dire che la guerra culturale in Europa era vinta. Le nazioni europee dell'Ovest si erano perfettamente allineate al capitalismo e alle politiche di  alleanza atlantica, e la gente non avrebbe mai rinunciato ai notevoli  miglioramenti del proprio tenore di vita arrivati con il consumismo e con il "mercato". Il valore della Cultura in quanto tale iniziava allora quel lungo  processo di  erosione e decadenza che oggi vediamo compiutamente avveratosi con la vittoria dell' economia capitalistica globalizzata e con la mercificazione di ogni aspetto più  minuto della vita umana e sociale. 
Se non sembrasse fanta-politica, potremmo forse immaginare un progressivo  distacco della CIA (o delle istituzioni a lei legate) dalle iniziative musicali più elitarie e d'avanguardia, per andare a sostenere, dagli anni '60 in poi, compositori o istituzioni più "di massa", forse i Beatles, forse addirittura la Beat Generation,  il  Festival di Woodstock,  la Minimal Music, e poi, chissà, magari il Progressive Rock, fino ad arrivare, qui nella provincia dell' Impero, a quella equivoca Musica Popolare Contemporanea di cui tanto si sente parlare oggi...
Ci vorrebbe uno studioso  serio che avesse voglia di indagare, di  scoprire. 
Nel frattempo però noi possiamo sempre domandarci come sarebbe stata la storia della musica del XX Secolo senza quell'intervento potente, indebito e artificiale con il quale il fantomatico Congresso per la libertà della Cultura ha lungamente influenzato, a scopo politico, il naturale sviluppo delle tendenze artistiche e musicali in Europa.    

Concludo citando le righe finali della prefazione di Giovanni Fasanella al libro  di  Frances Stonor, dove è  ben descritta l'inquietudine che ci prende nel sapere che siamo stati a nostra insaputa, e per decenni, oggetto di abile propaganda subliminale: 
"Gli strateghi della CIA hanno prodotto nei laboratori della guerra psicologica le idee che dovevamo professare e persino le emozioni che dovevamo sentire. E poi le hanno diffuse attraverso il  cinema e la letteratura, la pittura e la musica, i giornali e la televisione. In questo modo hanno imposto dei gusti, dettato delle mode, condizionato il corso della politica e influenzato gli esiti elettorali. Tutto a fin di  bene, per carità. In fondo, per parafrasare una celebre battuta di Altan, "ci hanno messo in testa delle idee che condividiamo".
Ma perchè, a guerra fredda ormai conclusa, sconfitto il nemico, continuano a non raccontarci anche l'altra metà della storia? Ci vogliono dire, ad esempio, se quelle "armi psicologiche" vennero distrutte o se, invece, sono ancora attive? E se possiamo fidarci delle notizie e dei commenti che leggiamo sui giornali, o delle immagini che vediamo al cinema e in televisione? 
Abbiamo il diritto di  sapere.
E di  scegliere se rimanere degli  automi intelligenti o  diventare dei banalissimi esseri umani. In fondo, tutto quello che è stato fatto, non è stato  fatto  proprio per difendere questo nostro diritto?" 

2 commenti:

  1. un dubbio atroce mi assale: ma allora ha ragione Baricco?? ;-) No, le arti non la fai mai a fermarle tutte. Credo che l'onda progressista delle avanguardie avrebbe comunque travolto i regimi. (...prima di sostituirsi ad essi?). Magari si sarebbe salvaguardato più a lungo il meraviglioso pluralismo tra le due guerre. Magari le mucche del Wisconsin avrebbero prodotto buon latte anche con l'Adagio di Barber...

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  2. l'Adagio di Barber, infatti, non è certo musica "d'avanguardia".

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