
Naturalmente la cosa ha suscitato un'ondata di reazioni e il problema, spinoso e complesso, presenta due aspetti principali: uno giuridico/ politico, diciamo così, l'altro di merito. Vediamo di sciogliere i punti principali della matassa.
Dal punto di vista giuridico, se non abbiamo capito male, la firma di questo contratto nazionale (al quale viene vincolata la facoltà dei Sovrintendenti di concedere ai dipendenti il permesso di svolgere attività artistica autonoma) non sarebbe però, secondo qualcuno, nelle intenzioni prioritarie dello stesso Ministero dei Beni Culturali. Al contrario, a dire di alcuni professori d'orchestra con i quali ho avuto modo di parlare, la ratio della riforma proposta dall'ex ministro Bondi (e a quanto ci è dato di sapere, non smentita dall'attuale Governo) è quella di dividere in almeno due categorie i Teatri Lirici, attraverso il riconoscimento ad alcuni soltanto - tipicamente, La Scala, Opera di Roma, San Carlo di Napoli- di una autonomia gestionale e contrattuale, come si può leggere dall' Art. 1, comma f della legge 100, che recita: "...previsione di forme organizzative speciali per le fondazioni lirico-sinfoniche in relazione alla loro peculiarita', alla loro assoluta rilevanza internazionale, alle loro eccezionali capacita' produttive, per rilevanti ricavi propri o per il significativo e continuativo apporto finanziario di soggetti privati.....".
In verità, già da ben prima del Governo Berlusconi è sul tappeto del dibattito pubblico questa ipotesi di riconoscere ad alcune (poche) istituzioni l'autonomia gestionale, con anche l'accesso preferenziale a canali di finanziamento più generosi, pubblici e privati. Ovviamente questa prospettiva crea una forte competizione tra gli Enti, che tutti vorrebbero vedersela riconoscere. E crea anche conflitti sotterranei tra i lavoratori dei diversi Enti, perchè, poniamo il caso, i musicisti della Scala potrebbero godere di livelli salariali e normativi (notevolmente) più vantaggiosi di quanto non godano attualmente, mentre quelli del Teatro Comunale di Bologna rimarrebbero legati al contratto nazionale che sarebbe per così dire "di base", anzi probabilmente sarebbe abbassato rispetto ai livelli attuali, sia come potere d'acquisto dei salari che come normativa.
Insomma, per questi professori con i quali ho parlato, la riforma Bondi in realtà persegue l'obiettivo di spaccare il fronte dei lavoratori degli Enti Lirico-sinfonici, seminare zizzania tra i sindacati, indebolire le controparti col ricatto del divieto di svolgere lavoro autonomo, e giungere per questa via a "salvare" solo alcuni Enti privilegiati e lasciare a se stessi gli altri, che presto, a causa del finanziamento insufficiente, finirebbero col fallire sotto il peso dei debiti, come è già quasi avvenuto al Carlo Felice di Genova.
In pratica, una specie di dottrina-Marchionne applicata all'industria culturale.
A questo punto forse dovrei esprimere il mio giudizio personale, fermo restando che non facendo parte della categoria non sono al corrente di tutti i dettagli della vicenda e quindi potrebbero mancarmi elementi di giudizio importanti. Comunque voglio riassumerlo così: i timori espressi dai lavoratori sono comprensibili e come diceva quel tale "a pensar male si fa peccato, ma quasi sempre ci si azzecca". Siamo in Italia, e l'esperienza induce alla massima cautela. Tuttavia mi pare che dalla lettura della Legge Bondi non emergano riconoscibili intenzioni deliberate di danneggiare gli Enti lirici italiani. Certo, vi sono spazi per l'applicazione più o meno corretta, imparziale, trasparente dell'articolato: ma questo dipende dalla volontà politica di chi è preposto a condurre le trattative per il contratto nazionale e così via, e di chi metterà poi in opera la realizzazione delle autonomie.
Ma ora il Governo Berlusconi non c'è più, e nemmeno i ministri Bondi e Brunetta, nemici giurati dei pubblici dipendenti. Potrebbe darsi che con il nuovo Governo e con il nuovo Ministro dei Beni Culturali la stessa legge, la cui finalità è comunque riformare un settore della cultura che versa da troppi anni nell'incertezza, possa essere interpretata in modo positivo e costruttivo, attraverso il dialogo tra tutte le parti interessate. Vedremo.
Poi c'è la parte "di merito" della vicenda. Perchè i professori d'orchestra non dovrebbero poter fare concerti al di fuori del loro lavoro come dipendenti di un Ente ? Questo è chiaramente un errore. Il musicista d'orchestra ha bisogno di mantenere e accrescere il proprio livello artistico e strumentale, perchè sappiamo che alla lunga l'orchestra, con la routine dei suoi tempi di lavoro, finisce talvolta col diminuire l'entusiasmo (e le prestazioni) dei suoi membri. Un musicista deve invece essere incentivato a dare sempre il meglio di sè, durante tutta la sua carriera lavorativa: e che cosa c'è di meglio che potersi mettere alla prova di tanto in tanto anche come solista o come camerista? Io non ho mai conosciuto alcun professore d'orchestra che non ami il proprio mestiere (come invece sembrava pensare Fellini nel suo famoso film), e so che la scelta di fare musica professionalmente non dipende dalla volontà di arricchirsi, ma solo dall'amore per la musica.
Certo, c'è da conciliare tutto ciò con il legittimo diritto dell'Istituzione ad avere la garanzia della fedeltà lavorativa del proprio dipendente: bisogna sanzionare furbizie, infedeltà, comportamenti che mettono a rischio il regolare svolgimento del lavoro degli Enti, la possibilità di programmare contando sulla piena disponibilità dei musicisti sotto contratto di esclusiva.
Ma vietare tutti a tutti non è per niente una buona soluzione; anzi assomiglia a quelle punizioni collettive e preventive che si possono vedere in certi film sui campi di addestramento dei marines. Ma un orchestra non è una caserma e i musicisti non sono militari, anche se il loro mestiere è tra quelli che richiedono più disciplina, paradossalmente, per suonare bene insieme.
Concludo con alcune sagge frasi di un musicista che come pochi altri ha saputo gestire in modo innovativo grandi istituzioni lirico sinfoniche, fino a creare nel 1976 una propria orchestra da camera.
"Ho la tendenza a pensare che piuttosto che lasciare agire i musicisti di testa loro e contro l'istituzione, sarebbe molto meglio che l'istituzione collaborasse con essi per lasciarli, giustamente, respirare, aiutarli a fare ciò che desiderano. C'è sempre un atteggiamento di ostilità di fronte alla grande Istituzione. Ci si dice: mi mangia. E' quello che faccio individualmente, che mi interessa.
Io credo che, al contrario, la grande istituzione dovrebbe essere la fornitrice stessa di queste attività annesse, anche importanti; ma ciò richiede un tipo di organizzazione più elastica e articolata, e una riduzione di quella sorta di sorveglianza totale del musicista, che dovrebbe essere costantemente a disposizione.....Nella maggior parte dei casi i musicisti trasgrediscono perchè sono costretti a farlo, di fronte a organismi che dicono loro: lei ci deve un certo numero di ore....Trovo che questo genere di relazione padrone-impiegato...non sia economicamente vantaggiosa. Credo dunque che non sia solo l'attrazione del frutto proibito che motiva questi musicisti, ma un modo per guadagnare qualche soldo in più, perchè i loro stipendi non sono affatto strabilianti, e perchè hanno un evidente gusto nel fare musica da camera o in piccole formazioni ...Perchè non permetterlo? "
Pierre Boulez- Conversazione sulla direzione d'orchestra
Bellissimo post, grazie! Ricorda la nostra conversazione a Radio Classica, a "Ultimo grido", ospiti di Luca Ciammarughi?
RispondiEliminaNe abbiamo parlato ancora anche poco fa, sempre a "Ultimo grido"... le conseguenze sono gravissime, anche sulla didattica: la Scuola di Fiesole sta rischiando la chiusura.
Ines Angelino