"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


"Musica est exercitium aritmaeticae occultum nescientis se numerari animi“

- G.W. Leibniz


"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

venerdì 27 febbraio 2015

Schoenberg e Korngold, Il sogno infranto della "Felix Austria"



Ho preparato questo testo per un concerto da me diretto il 17 Febbraio 2015 con L'Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano, nella serie Discovery. La serata prevedeva una introduzione storico/critica con esempi musicali. Parte del testo che qui sotto riporto era destinata al libretto di sala, parte alla mia presentazione orale prima dell'esecuzione delle opere musicali. 
Il programma era il seguente: 
Gustav Mahler - Blumine, movimento sinfonico (1883-1888)
Arnold Schoenberg - Kammersymphonie II op.38 (1906-1940) 
Franz Schubert/Anton Webern - Deutsche Tänze D820 (comp. 1824 - arr. 1931) 
Erich Wolfgang Korngold - SUITE aus Shakepeare  "Viel Lärmen Um Nichts" op 11 (1918) 
Pubblico ora qui il testo, pensando che forse potrebbe interessare in particolare a chi volesse leggere una abbastanza approfondita descrizione formale della II Kammersymphonie op.38 di Arnold Schoenberg, e le note storico-biografiche su Erich Wolfgang Korngold. Buona lettura! 


Stefan Zweig


Scrive Stefan Zweig, nel suo libroIl Mondo di Ieri”:
Il tempo in cui son cresciuto fu l'età d'oro della sicurezza(...)Tale fede in un «progresso» ininterrotto ed incoercibile ebbe per quell'età la forza di una religione (...) ma noi che nel nuovo secolo abbiamo imparato a non lasciarci più sorprendere da alcuno scoppio di bestialità collettiva, noi che dal domani aspettiamo ancor più atroci eventi che dall'ieri, siamo ben più scettici circa la perfettibilità morale degli uomini. Noi fummo costretti a dar ragione a Freud, allorché egli riconobbe nella nostra cultura e nella nostra civiltà solamente un sottile diaframma, che ad ogni momento può essere sfondato dagli impulsi distruttivi del mondo sotterraneo (...) Oggi, dopo che la grande bufera lo ha frantumato, sappiamo definitivamente che quel mondo della sicurezza è stato un castello di sogni.

Due brevi opere di Mahler e di Schubert, numi tutelari e universali della viennesità musicale, sono in questo concerto la dorata e commossa cornice del confronto analitico e parallelo che svolgeremo tra altri due compositori, Arnold Schoenberg e Erich Wolfgang Korngold, entrambi figli di quella stessa città, nati nella età dell’oro della sicurezza evocata da Zweig e poi, ciascuno a suo modo, interprete della krisis e del tramonto di una certa civiltà mitteleuropea che sembrava destinata a essere rappresentata per sempre dall’impero austro-ungarico. Schoenberg e Korngold si consideravano eredi e continuatori della tradizione musicale europea, che rivendicavano come humus comune, al di là delle divisioni estetiche. Le loro vite corsero parallele, anche nel comune destino da emigrati negli Stati Uniti dal 1933/34, ma le loro carriere ed esiti artistici risultarono alla fine opposti: l’uno fu il controverso e discusso capofila della Nuova Musica, le cui invenzioni non hanno ancora smesso di influenzare le avanguardie di oggi; l’altro seppe interpretare e rinnovare la tradizione con minore radicalità di linguaggio, ma divenne a sua volta un capofila e un modello ancora oggi imitato nell’applicare la musica alla nuova arte popolare del cinema hollywodiano.
Tra tonalità e serialismo, tra avanguardia e conservazione, il dibattito continua ai giorni nostri, a un secolo e più di distanza. 


Questo concerto fa parte di una serie che l’Orchestra Verdi ha intitolato Discovery, con la quale ci si propone di offrire una panoramica su autori moderni o contemporanei poco conosciuti in Italia.
Ma io ho voluto iniziare da Mahler, perché questa sera vorrei che noi tutti insieme ci lasciassimo affascinare - e anche magari un po’ stregare - dal profumo di una Vienna che non c’é più e che non é quella giustamente celebre del concerto di Capodanno, ma quella melanconica e nostalgica che tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo presagisce l’ inevitabile tramonto della cosiddetta Felix Austria: ma che dal fondo di questa crisi di identità estrae miracolosamente una delle più potenti rivoluzioni culturali, filosofiche e artistiche della Modernità, cariche di scoperte e innovazioni che non hanno ancora esaurito il loro effetto ai nostri giorni.
Quale migliore compositore dunque, se non Mahler, per introdurre questo profumo di nostalgia un po’ malata per un mondo vagheggiato, nel quale l’Uomo e a Natura, la Vita e la Morte siano infine riconciliati dal suono di una melodia semplice e tenera che ci fa perdere in una estasi aurorale fuori dal Tempo e dalla Storia?  

1- Gustav Mahler - Blumine, movimento sinfonico (1883-1888)  8' 
2.2.2.2 - 4.1.0.0. - Timp - Arpa - Archi 

Blumine faceva parte della prima versione della I Sinfonia, composta tra il 1884 e il 1888, ed era il brano centrale dei tre che componevano la prima parte della Sinfonia stessa, che  nel Programma poetico sottinteso l’autore aveva intitolato Aus den Tagen der Jugend (Dai giorni della gioventù). E’ un ispirato idillio in forma di romanza, o serenata tripartita, nella altrettanto serena tonalità di do maggiore. Secondo qualche musicologo l’ispirazione a comporre Blumine sarebbe venuta a Mahler durante uno di quei suoi  periodi – non infrequenti per la verità! – di innamoramento: in questo caso, pare per una graziosa e biondissima soprano del Teatro Reale di Kassel, una certa Johanna Richter.  Infatti é l‘autore stesso a descrivere in una lettera a un amico di averlo composto in soli  due giorni, e di averlo fatto  in uno stato di rapimento e di felicità. Cionondimeno, dopo l’esposizione curiosamente affidata alla cornetta in Fa, in una atmosfera per la verità più bucolico/alpestre che erotica, (!!)  l’episodio centrale in la minore é più drammatico e si snoda intorno  a un dialogo tra l’oboe solo e i contrabbassi, in una atmosfera tipica del Mahler più cupo e disperato. 
Le ragioni  per le quali Mahler decise quasi subito di espungere Blumine dalla Sinfonia sono molteplici; forse a causa di alcuni critici che lo avevano curiosamente definito “triviale”;  forse perché l’inciso iniziale della tromba é lo stesso del Tema nel finale della I Sinfonia di Brahms, e temeva di essere accusato di plagio?; forse – e questa é probabilmente la ragione più forte – perché non sembrava più coerente con la struttura della Sinfonia, una volta che l’autore ebbe deciso di cancellare dalla partitura anche i titoli programmatici .
Fatto sta che la partitura fu perduta per lungo tempo, perché Mahler l’aveva donata a una sua studentessa americana (chissà che anche in questo caso non ci fosse qualcosa più della semplice simpatia?), Jenny Feld Perrin, e  gli eredi la custodirono fino  a quando nel 1959 la misero all’asta! L’acquirente, James Osborne, generosamente la donò alla Università di Yale, dove fu scoperta nel 1966 dal musicologo Donald Mitchell dentro il manoscritto–copia della versione di Amburgo della Sinfonia, contenente appunto il movimento Blumine.


Veniamo ora al nucleo vero e proprio di questo concerto, che consiste nella giustapposizione critica di due eminenti compositori Viennesi, dalle storie opposte ma in un certo senso parallele: Arnold Schoenberg e Erich Wolfgang Korngold.

Forse sarebbe più coerente intitolare questo singolo concerto una RE-discovery, in quanto i due autori non sono certamente autori contemporanei, essendo nati entrambi a Vienna alla fine del XIX secolo: 1874 Schoenberg, 1897 Korngold. E altrettanto certamente non sono degli sconosciuti; ma rimangono in Italia poco frequentati, e su di loro si sono stratificati nel tempo dei giudizi un po’ approssimativi. Dunque non sarà un concerto di musica contemporanea (e forse qualcuno ne sarà felice!!), ma la proposta di due opere rare che simboleggiano esemplarmente la frattura del linguaggio musicale che all’inizio del Novecento contrappose i compositori conservatori della tradizione classica e romantica europea a quelli che cercavano un rinnovamento della musica nella direzione della atonalità prima, della dodecafonia poi.
Non a caso abbiamo scelto due autori viennesi, perché Vienna, la grande capitale politica e culturale, fu come tutti sappiamo nei primi anni del secolo il teatro delle più importanti correnti culturali europee, e in essa convivevano negli stessi anni i principali esponenti delle diverse tendenze artistiche.
E’ una ovvietà dire che per poter comprendere appieno, e non solamente con un ascolto curioso e aperto ma sostanzialmente acritico, la musica contemporanea (cioé, quella che scrivono veramente OGGI gli  autori viventi) é utile conoscere almeno a grandi  linee le ragioni della frattura da cui é nata quella che ancora oggi qualcuno, con un curioso equivoco cronologico, chiama musica contemporanea, riferendosi a opere che ormai risalgono a 100 e più anni fa! Il nostro concerto intende dunque essere un piccolo contributo di conoscenza, focalizzato su due grandi maestri che, pur appartenendo allo  stesso mondo geografico e culturale, pur essendo entrambi di origine ebraica e quindi entrambi emigrati negli Stati Uniti quasi contemporaneamente (nel 1933 uno, nel 1934 l’altro), hanno avuto due vite e due percorsi  artistici singolarmente opposti.

Presenteremo per prima la II KS di Sch., accompagnandone l’introduzione storica e la descrizione formale per brevi  cenni e con esempi musicali.

2- Arnold Schoenberg - Kammersymphonie II op.38 (1906-1940)   24' 
2.2.2.2 -2.2.0.0. - Archi 12.10.8.6.4

I primi abbozzi furono iniziati  il 1 agosto 1906,  (battute 1-143 e 166-251) subito dopo la composizione della I KS op. 9 con la quale l’autore iniziava ad abbandonare la temperie postromantica dei suoi precedenti lavori, quali ad esempio il sestetto per archi Verklärte Nacht,  e si avviava all’allargamento indefinito del campo tonale.
Quasi subito infatti la composizione si  interruppe, e fu ripresa inutilmente più volte: nel 1911, poi nel 1916, fino  al suo completamento finale nel 1939, cioé 33 anni più tardi. Una vita! Non per nulla Glenn Gould ha chiamato quest’opera un fastidioso  scheletro nell’armadio musicale di Schoenberg !
Quale era il problema che prese tanto tempo per essere risolto?
Il problema della prima fase compositiva era trovare la via giusta per uscire dall’armonia tonale, che Sch. riteneva ogni giorno di più un esito indispensabile, storicamente necessario. Raggiungere la piena padronanza dei mezzi tecnici per fare questo cambio di linguaggio fu un processo lungo e faticoso.  Sch. dichiarava in una intervista: Al tempo della I KS comporre era un grande piacere. Il lavoro andava avanti facilmente e sembrava così convincente, che ero sicuro che il pubblico avrebbe reagito  spontaneamente e positivamente alle melodie e ai sentimenti,  trovando questa musica così bella come io  la sentivo.
“In tempi recenti é diventato invece un dovere verso me stesso. Non era più questione di piacere personale. Io ho un compito, una MISSIONE.. non sono che l’altoparlante di un’idea”.

Ci sarebbe da riflettere su questa concezione del lavoro dell’artista come una sorta di missionario laico per l’affermazione di un’ Idea. Dovere versus Piacere.
Sch. sentiva di far interamente parte della tradizione classica, e si ispirava ai grandi  maestri quali Beethoven e Brahms (quest’ultimo da lui  particolarmente ammirato per la grande sapienza “architettonica”). Riteneva che il compito dell’artista fosse di rinnovare il linguaggio dell’Arte, guardando  al futuro come il luogo dell’utopia e della libertà. In questo aveva molto in comune con l’ideale romantico-illuminista Beethoven; ma da lui forse lo differenziava un empito quasi mistico di fede nell’istinto profondo che sa scoprire la Verità nascosta nella psiche. Non a caso Sch. viveva in quella stessa Vienna nella quale il dottor Freud scopriva, negli stessi anni, l’importanza dei processi psichici sulla vita degli individui.
Già fino dal 1911 il linguaggio  di denso cromatismo post-wagneriano col quale era stata concepita la II KS era diventato per lui il simbolo di un fallimento  del passato, e l’unica possibile alternativa che appariva credibile ai suoi occhi a quel tempo era il passare all’Atonalità.
L‘intensa emozionalità dello stile liberamente atonale e atematico delle opere composte nel frattempo (Erwartung,  e altre) avevano  condotto Sch. in un cul-de-sac. Il linguaggio  espressionista era una solo temporanea soluzione del problema.
Per un certo periodo l’Autore pensò quindi di trasformare l’opera in un melologo, associandole un testo proprio, intitolato Wendepunkt (punto di svolta), nel quale analizzare la propria empasse creativa. Sarebbe forse stato una interessante testimonianza artistica di un creatore che indaga su procedimenti razionali e irrazionali che direzionano la propria ricerca. Una specie di autoanalisi pubblica, attraverso la creazione di un Opera. Il progetto del melologo però venne abbandonato, per comporre altri lavori di più  immediata urgenza espressiva.
Ma lasciamo un attimo questo problema estetico e proseguiamo nella tormentata vicenda della composizione della II KS. 
Il 12 Dicembre 1916 Sch., in una lettera a Alexander Zemlinsky, suo maestro e amico, scriveva: “ho deciso di completare la mia II KS che ho iniziato nel 1907. Due movimenti sono stati  scritti, uno é completo tranne le battute finali, l‘altro é finito a metà. Ho intenzione di fonderli in un solo  movimento. Poi vorrei scrivere una seconda parte, ma é sempre possibile che io abbandoni il progetto”
Secondo la maggior parte dei musicologi e dei critici la II KS “rappresenta una regressione. Né la sua armonia può essere guardata come un passo avanti verso la dissoluzione della tonaità”.  
Ora, proprio questo  a me sembra un esempio tipico dell'atteggiamento  che pretende che la storia della Musica abbia un andamento teleologico, come seguendo  la freccia del tempo verso  le magnifiche sorti e progressive.
Per quale motivo la dissoluzione della tonalità dovrebbe rappresentare un progresso in assoluto? In Arte non é  come nella scienza: le conquiste non migliorano la vita come fa un nuovo farmaco o una scoperta  scientifica.
In Arte é un continuo ritornare sui propri passi per adattarsi al mondo che cambia, e non é mai meccanica la relazione tra lo sviluppo delle tecniche compositive e il progresso. A volte per dire cose importanti per il proprio tempo occorre invece riscoprire tecniche e procedure del passato, rileggendole alla luce del presente. Lo disse, una volta per tutte, Giuseppe Verdi in una sua celebre sentenza: Tornate all'antico, e sarà un progresso. 

Quindi la II KS, al contrario della I, “accetta” di rimanere nel campo (pur allargato) delle relazioni  tonali piuttosto che cercare continuamente di evaderne come faceva la I KS. Le dissonanze che contiene derivano semmai dal moltiplicarsi di appoggiature, ritardi, sospensioni e ambiguità armoniche ottenute attraverso scivolamenti cromatici, prevalentemente nella voce del basso, che permettono di modulare verso toni lontani senza passare attraverso il processo tradizionale di preparazione e risoluzione accordale delle modulazioni. Questo processo é stato definito affine a quello usato da Anton Bruckner, il grande sinfonista austriaco che visse a Vienna i suoi ultimi anni fino alla morte nel 1896, e che il giovane Schoenberg, nato nel 1874, certamente ebbe modo di  conoscere e di subire il fascino del cangiante tessuto armonico  bruckneriano.

Infine, nel 1939, quando Sch. era già da anni in USA, arrivò l’occasione giusta per terminare finalmente il lavoro. Una commissione dal direttore Fritz Stiedry per la sua orchestra New Friends in Music, a New York. Ma le difficoltà di conciliare il suo  stile giovanile di tanti anni  prima con l’evoluzione del suo  linguaggio, giunto ormai alla piena maturità del sistema dodecafonico sviluppato nel frattempo, rimanevano, e sono  testimoniate da una lettera che SCH. indirizzò al direttore d’orchestra:
Durante l’ultimo  mese ho  lavorato  a completare la II KS. Ho impiegato  la maggior parte del tempo  a cercare di  capire “che cosa voleva dire l’Autore. Dopotutto, nel frattempo il mio stile é  diventato  molto più  profondo e oggi ho  molte difficoltà a sviluppare le idee musicali che scrissi tanti anni fa senza troppo pensarci su, fidandomi del mio senso della forma: esse non sono più conformi alla mia attuale esigenza di un alto grado di  logica visibile . Il mio materiale é molto buono: espressivo, ricco e interessante. Ma bisognerebbe svilupparlo nel modo come ero capace di  fare all’epoca.”
In un altra lettera a Stiedry, non datata, si legge che Sch. pensava di aggiungervi non solo un terzo movimento, dei quali esistono degli schizzi  preliminari, ma anche un quarto e un quinto!
Finalmente, e non senza molta fatica, la II KS viene completata nella sua forma attuale in due movimenti, con una ripresa del I nella coda del II, e il  linguaggio armonico trova finalmente una concilazione tra l’impianto tonale della concezione originale e l’acceso cromatismo di quella finale, attraverso un uso sapiente delle ambiguità tonali e degli accordi per quarte, che l’autore usa, insieme ai già citati scivolamenti cromatici, non più come strumenti per uscire dalla tonalità, bensì questa volta come passepartout per modulare agilmente fra campi tonali molto  lontani.
La musicologa Catherine Dale, alla quale devo ampi stralci  di questa introduzione, ha scritto con una felice formula: “Se la I KS può essere considerata come profetica nella emancipazione della DISsonanza, la II Ks potrebbe essere considerata invece come la conquista dell’emancipazione della CONsonanza.”

Infatti il  linguaggio  armonico  di Sch. a partire dalla seconda parte degli anni ’30 era tornato più volte a sperimentare un uso libero della tonalità, insieme ad altri sistemi armonici. Sch. paragona il suo lavoro a quello  dei grandi maestri del passato, e argomenta che così come Haydn, Mozart, Beethoven, Brahms usavano spesso il contrappunto antico inserendo fughe, canoni all’interno  delle loro composizioni essenzialmente omofoniche, allo stesso modo lui stesso combinando tonalismo e serialismo poteva accrescere il potenziale espressivo della sua musica. In una lezione tenuta all’Università della California intorno al 1940 dichiarava “c’é ancora tanta bella musica da scrivere in Do maggiore!”

Vediamo più da vicino la KS, con alcuni  esempi  musicali .
L’opera, nella sua forma finale, si compone di solo due movimenti: un Adagio in Mi bemolle minore dal brumoso clima postwagneriano, malinconico e drammatico; un  Allegro con fuoco in 6/8  in sol maggiore dal carattere di vivace danza popolare.

IL I MOVIMENTO, in mi bemolle minore si può definire un Lied in forma tripartita, con ben quattro motivi tematici principali e una Coda.

IL I° TEMA del I movimento  é esposto dal flauto, ed é  costituito da una nobile melodia molto espressiva,  basata principalmente su intervalli di 5° e di 2°minore. La frase si compone di vari incisi concatenati con perfetta logica discorsiva , come un pensieroso soliloquio con commentari e riprese interne, e conclusione finale sul mi bemolle della tonalita d’impianto .
*1 (solo  flauto)  battute 1 -11

Ascoltiamo ora la stessa frase con l’accompagnamento dell’orchestra, e consideriamo  come l’armonia sia particolarmente instabile e passi attraverso varie sfumature impreviste, per poi  tornare alla tonalità principale di mi bemolle minore, dopo peripezie molto espressive.
*2 (tutti)  battute 1 -11

il II° Tema appare quasi subito, nella tonalità principale, ed é esposto  dai  violini. Consiste di una lunga melodia elaborata che termina nel registro  acuto.
*3 (violini primi)  battute 11-19

Alla presentazione di questo secondo tema segue una parte “di transizione” intensamente contrappuntistica  durante la quale appare un ulteriore inciso tematico, che i critici  trascurano ma sul quale io vorrei  attirare la vostra attenzione perché é un “oggetto” molto breve, ben caratterizzato, facilmente memorizzabile e riconoscibile, che Sch. usa intensivamente come elemento di  contrappunto. 
E’ introdotto dai celli/bassi  e dai  violini, in imitazione.
*4  (celli/bassi e violini)  battute 23-31

A questo punto Sch. ha già messo insieme una notevole qualtità di  idee musicali, che sarebbero già sufficienti  per allestire un lungo  movimento sinfonico, secondo le regole classiche della composizione tonale.
Ma non contento, fa comparire un secondo gruppo tematico, costituito da due temi esposti  in successione nel breve giro di  poche battute:
- un III tema molto nobile e cantabile,  dal carattere vagamente wagneriano,  presentato  dalle viole in un tempo  Poco più  mosso .
*5  (tutti)  battute 53-62

E subito dopo, il IV tema, esposto dai violini, dal capriccioso profilo cromatico che potrebbe richiamare il Bartòk  della Musica per arpa archi celesta e percussioni (che vide  però la luce a Basilea nel 1937). Qui é da notare il carattere per la prima volta molto  vigoroso della musica, con la discesa cromatica dei bassi con pesanti accenti. ritmici
*6  (tutti)  battute 62-67

Segue un primo esteso episodio di “sviluppo” o “ commentario”  , nel quale il III  e IV tema sono ripresi  più volte, in contrappunto,  dalle varie sezioni dell’orchestra. Da notare in questo  episodio la “fioritura”  cromatica dei legni che prolunga il IV tema e gli  conferisce un carattere  quasi “barocco” o bachiano.
*7  (flauti/oboi/clarinetti)  battute 84-88

L’energia si dissipa e si ritorna al tempo iniziale, Adagio, con una ripresa variata della prima Esposizione, nella quale il  I tema é  presentato dalla tromba con sordina, questa volta in dialogo con una viola e un oboe soli, e successivamente ricompaiono tutti i 4(5) temi principali, diversamente strumentati e armonizzati.  
*8  (tutti)  battute 95-106

La Coda chiude il I movimento con un processo di rarefazione nel quale i diversi temi vengono citati in modo incompleto, spezzettato, come se l’ordito della trama si strappasse lasciando dei vuoti, fino alla laconica, antiretorica conclusione dei bassi e celli nel registro grave, come a suggellare malinconicamente una vicenda tormentata.
Ascoltiamone le ultime 8  battute: 
*9  (tutti)  battute 157- 165
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Il II MOVIMENTO curiosamente contrastante é un allegro in 6/8, in forma di sonata, pur con qualche eccezione rispetto allo standard formale; parte in sol maggiore (!!) con un tono  scanzonato che potrebbe benissimo appartenere al Mahler delle citazioni musicali  folcloristiche e popolari, e in alcuni momenti, per il suo scatenato virtuosismo strumentale, anche allo straussiano Till Eulenspiegel lustige Streiche (1894-5) anch’esso in tempo di 6/8-2/4

I temi principali  dell’Esposizione sono  due:
TEMA 1 presentato  dai clarinetti
*10  (clarinetti)  battute 170-174

TEMA 2, dell’ oboe, dal clima più disteso cantabile, in forma simmetrica classica di 2+2 battute
 *11  (oboe)  battute  185 (con levare) – 188
tema che é subito ripreso dai violini e poi  fittamente intrecciato al tema 1, conducendo così ad un rapido episodio di transizione .

Il cambio  di  tempo ANIMANDO  segna l’inizio della seconda parte della “esposizione” , introdotta da una piccola fanfara dei corni
*12  (corni)  battute 219-224

e seguita da un virtuosismo dei legni, in perfetto stile straussiano alla Till Eulenspiegel, come abbiamo detto prima
*13  (flauti e clarinetti)   battute 231 (in levare)-237

L’Esposizione si conclude così altrettanto virtuosisticamente, e inizia lo Sviluppo, che coerentemente con le regole più classiche della forma sonata, inizia nella tonalità della dominante,  Re maggiore
*14  (tutti)  battute 263 – 271 

Nel corso del lungo, vorticoso, fantasmagorico e virtuosistico elaborato sviluppo,  che qui non possiamo descrivere per ragioni di tempo, a un certo punto c’é una cosa interessante: la sovrapposizione di  due metri , 6/8 e 2/4 . Questa tecnica poliritmica  serve a Sch. per mantenere la caratterizzazione ritmica di un tema ripreso dal I movimento
*15  (tutti)  battute 62-64  I movimento

e qui variamente sovrapposto agli altri temi  del II movimento, che rimangono nel loro  tempo  di 6/8
*16  (tutti)  battute 367-372

La RIPRESA, ma in forma accorciata, variata e come vista attraverso uno specchio deformante, con trasposizioni e distorcimenti dei profili melodici, arriva quando ritorna la fanfara in tempo ANIMANDO, questa volta esposta dalle trombe  (mentre nel’Esposizione, come ricordiamo, erano i  corni)
*17  (trombe)  battute 391-396

Dopo un punto culminante nel quale si assiste a un grande accumulo di energia,
*18  (tutti)  battute 428 -441

Segue la CODA, cui si arriva con un processo simile a quello che terminava il I Movimento: rarefazione, spezzettamento e dei temi, rallentamento del tempo e della tensione. La CODA si presenta come un graduale ri-avvicinamento al tema principale del I Movimento, come in un processo mnemonico di ricostruzione durante il quale si estraggono dal subconscio lacerti fantasmatici dei temi già ascoltati in entrambi i  movimenti.
Il finale ultimo é basato sull’alternanza dei due accordi  principali (che avevamo  trovato  già nella prima misura di  tutta la KS) Mi bemolle minore e La minore, che armonizzano  le quarte discendenti presenti  nel primo  tema del flauto. 
Questi due accordi minori, dei quali  va sottolineata la distanza di un tritono, suonano come il “motto” che impregna di sé tutta la KS. Questo motto discende di registro progressivamente, da quello  acuto dei legni  fino a quello dei contrabbassi, e termina in questo  registro  oscuro con il lungo accordo tenuto di mibemolle minore, in crescendo su una lunga fermata, per aumentare la tensione tragica con cui  si conclude l’opera.
*19  (tutti)  battute 479- fine

 














3- Franz Schubert/Anton Webern - Deutsche Tänze D820 (comp. 1824 - arr. 1931) 10' 
2.2.2.2. - 2.0.0.0. Archi 12.10.8.6.4

Come Propileo (per sottolinearne la commovente solennità) della seconda parte della serata ho scelto le Danze Tedesche D820 di Franz Schubert, nella elegantissima orchestrazione fattane nel 1931 da Anton Webern, che era, tra gli allievi di Schoenberg, quello che più di altri forse si sentiva legato all’eredità storica della tradizione musicale -  e infatti é sua la famossima orchestrazione del Ricercare a 6  voci dall’Offerta Musicale di Bach. Anche se Webern fu colui che più di ogni altro estese i confini del linguaggio musicale ben oltre la stessa dodecafonia del suo maestro Schoenberg, e si inoltrò in terreni inesplorati e rarefatti. La profonda devozione per la commovente semplicità di queste Danze, quintessenza della nostalgica “viennesità” ed estratte dalla sconfinata produzione pianistica schubertiana, emerge dall’orchestrazione weberniana essenziale, rarefatta, che valorizza il carattere in miracoloso equilibrio tra il nobile e il popolaresco di queste brevissime composizioni. Sono in sostanza due semplici danze in tempo di ¾ - niente a che fare col walzer, qui, semmai col minuetto settecentesco – dal percorso formale bipartito, ognuna delle quali con 2 Trii.
Schubert aveva passato l'estate del 1824 a Zseliz, in Ungheria, dando lezione alle contessine Esterhazy. Queste danze sono infatti state scritte per Karoline e Marie Esterhazy nell'ottobre, appena prima che Schubert rientrasse a Vienna. I primi biografi hanno molto ricamato su un presunto innamoramento di Schubert per Karoline, che però pare assai dubbio. Forse la cosa interessante è che, quando soggiornava in Ungheria, Schubert era particolarmente incline a farsi ispirare dalla musica popolare: infatti della fine del 1824 è anche il "Divertimento all'ungherese"
(nota biografica gentilmente fornita da Luca Ciammarughi)


Veniamo  ora a Erich Wolfgang Korngold, che nasceva a Vienna nel 1897 in una famiglia colta e agiata. Suo padre Julius Korngold era una personalità molto in vista: rigido conservatore, aveva ereditato nientemeno che da Eduard Hanslick il prestigioso incarico di critico musicale della Neue Freie Presse, dalle colonne dalla quale tuonava contro Richard Strauss per il suo eccessivo “modernismo”, e naturalmente contro la cerchia Schoenberghiana colpevole di inquinare l’ambiente musicale con esperimenti a parere di Julius Korngold intellettualistici e vacui.
Ben introdotto quindi nell’ambiente ai più alti livelli, e dotato di un talento musicale straordinario,  fin dalla più tenera età il  giovane Erich inizia a comporre, e nel 1908 viene presentato dal padre a Gustav Mahler, che ne riconosce subito le doti eccezionali  e gli consiglia di studiare con il compositore Alexander Von Zemlinsky, che era il didatta più famoso di Vienna, e anche l’unico maestro avuto e riconosciuto dallo stesso Schoenberg, che peraltro si considerava, ed era realmente,  un autodidatta.
Le prime composizioni di Korngold, scritte a partire dal 1906, quando aveva 11 anni! ebbero tutte un successo clamoroso, incluse le prime produzioni operistiche. Nel volgere di pochi anni il pubblico viennese arrivò a considerarlo “ Il nuovo Mozart”. Ma questa eccezionale precocità artistica, come spesso succede, celava degli  aspetti caratteriali  forse meno  felici. Come Mozart, anche Korngold soffrì la pressione di un padre autorevole e severo, che voleva a tutti i  costi promuoverne il talento eccezionale.
Scrive il  suo  biografo Brendan Carroll :
Per ciò che concerneva il  suo  mestiere e la sua vocazione, Erich Korngold a 15 anni era già un artista maturo. Lavorava 12 ore al giorno  per fare i  suoi  compiti  di  scuola e per scrivere le sue partiture.  Ma anche se  le persone intorno  a lui  avevavo  l’impressione che egli giocasse con tutto il suo lavoro quotidiano, sempre sereno e di buon umore (.....) sicuramente le cose erano  ben diverse (...) c’era un curioso contrasto  fra questa precocità inspiegabile e la maniera in cui cresceva da un  punto di vista emozionale ed umano. A quindici  anni  era ancora molto  bambino rispetto ai giovani  della sua età, e aveva ancora da affrontare i  problemi  della pubertà.
L’influenza del padre severo e conservatore probabilmente ebbe effetti non solo  sul carattere, ma anche sulla carriera del dotatissimo figlio perché, come scrive il musicologo  Mario Tedeschi Turco:
“le diatribe fra il terribile critico della Presse e i sostenitori della seconda scuola di  Vienna si ripercossero sulla musica di Erich: Anton Webern scrisse a Schoenberg parole assai dure sulla frequenza di  concerti dedicati a Korngold e sulla qualità della sua musica, e solo Alban Berg ne parlò favorevolmente, tanto da esprimere il desiderio  di intraprendere con lui  un rapporto di amicizia e colleganza. Ma il padre stroncò sul  nascere la possibilità di una tale collaborazione, convinto più che mai  dell’insensatezza della Neue Musik.  (....) non v’é dubbio che le posizioni conservatrici ad oltranza di Julius Korngold  fecero perdere a Erich molta della stima che il  pubblico  gli  aveva tributato  ai suoi  esordi.”
Presso il pubblico cominciò allora ad affermrsi il  binomio  Korngold = reazione, e questa fama l’autore se la porta dietro, immeritata,  fino  ai  giorni nostri.

La Vienna di inizio secolo, come abbiamo detto, era il crogiolo delle principali correnti  artistiche europee. E a Vienna erano compresenti le due anime musicali opposte, l’una di  rottura (Schoenberg e il suo circolo), l’altra di cauta conservazione della tradizione classica e romantica: in questa seconda tendenza, certamente maggioritaria e prevalente all’epoca, possiamo nominare Mahler e Strauss come padri nobili, poi Zemlinsky, Schrecker e anche il nostro Korngold. A queste si aggiungano alcune figure “minori” quali  Ernst Krenek, che oscillavano tra gli uni e gli  altri.
Ma ciò che é importante sottolineare, e che troppo spesso si dimentica, é  che fra tutti questi diversi artisti, anche se appartenenti a fronti opposti e talvolta in accesa polemica, vi fu sempre grande rispetto reciproco, e a volte vera amicizia.
Zemlinsky fu maestro di Schoenberg come di Korngold, Berg fu ammiratore di quest’ultimo.  Il musicologo Tedeschi Turco scrive ancora:
“La comune ascendenza wagneriana e brahmsiana svela la sostanziale continuità di una tradizione che solo nel secolo scorso venne considerata, al contrario, opposizione. La forza cogente della tradizione si rivela insospettabilmente il punto comune di produzioni assai diverse: che subisca una profonda metamorfosi o che ritorni sviluppata ed estremizzata, la diversità affondava le proprie radici nel medesimo terreno.”
Lo stesso Korngold, pur non adottando il linguaggio atonale dei colleghi Schoenberg Berg e Webern, da lui comunque stimati, dichiarava: “Io non mi chiudo contro gli  arricchimenti armonici che dobbiamo a Schoenberg. Ma non rinuncio per questo alle eccellenti possibilità espressive della musica “antica”.
Korngold fu insomma un conservatore illuminato, un artigiano fedele all’insegnamento della tradizione, mai pervaso dall’Urlo Espressionista bensì interamente devoto a un’arte del comporre che potremmo definire apollinea - anche se i soggetti delle sue opere liriche, e di Die Tote Stadt in particolare, subiscono l’influsso del simbolismo alla Maeterlinck e dell’incombente psicologismo freudiano. Ma fu sempre preoccupato di non perdere il contatto con il pubblico. E infatti sarà proprio nel lavoro per la nuova arte popolare, il cinema, che Korngold, trasferitosi in America,  saprà applicare il suo  enorme talento musicale e drammaturgico, cogliendo  grandissimi  successi.

Ora la scena cambia e siamo nel 1934:  Korngold e Schoenberg sono ormai esuli negli Stati Uniti, entrambi in fuga dal clima di persecuzione antisemita che non promette niente di buono, dopo l’elezione di Hitler a Cancelliere del Reich.
Ma mentre Korngold parte a seguito dell’invito del regista Max Reinhardt a comporre le musiche per il film A Midsummer Night’s Dream, e a Hollywood trova l’ambiente più adatto al suo grandissimo talento - talento incentivato anche da un sontuoso contratto di lavoro stabile con la Warner Bros. – il  secondo, Schoenberg, lascia la Germania dove si era trasferito da Vienna,  perché a Berlino l’antisemitismo é ancor più pericoloso e incombente: l’Accademia di musica dove insegna composizione gli da’ il benservito per via delle sue origini giudaiche, e la sua musica praticamente non viene più eseguita in Germania. Accetta quindi l’offerta di insegnare al Conservatorio Melkin, tra Boston e New York. Ma per il clima rigido e i viaggi faticosi la sua salute peggiora, e quasi subito si trasferisce nella più calda California, anche lui  a Hollywood come Korgold, dove viene invitato come docente dall’università di Los Angeles.
A Hollywood e in tutti gli Stati Uniti c’era allora il fior fiore dell’intellettualità europea: ebrei rifugiati come Schoenberg e Korngold, ma anche Thomas Mann, Koussevitzy, Stokowsky, Mengelberg, naturalmente Stravinskij e tanti altri tra i quali Alma, la vedova di  Gustav Mahler, col nuovo marito Franz Werfel. Dal suo diario leggiamo questo piccolo ritratto  della nuova vita in America:
Viviamo in una piccola cerchia di persone di  valore. C’é Arnold Schoenberg, ci sono i  due Mann (Thomas e Golo), Thomas il  riflessivo e la sua piccola moglie...e sopratutto c’é Erich Korngold con sua BELLA moglie (acuta osservatrice la signora Werfel/Mahler!). Quando  siede al pianoforte siamo tutti  felici. NON POSSO DIRE COSA RESTERA’ DI LUI, ma é  comunque geniale.”

Tratteggiato questo breve ritratto dell’autore e del contesto storico/sociale nel quale agì, passiamo  a descrivere in sintesi l’opera che andiamo ad eseguire.
Innanzitutto dobbiamo rilevare che mentre Schoenberg scriveva quasi sempre mosso dalla propria  “ispirazione”  artistica, inseguendo la missione di rinnovare il linguaggio musicale, ed ebbe sempre molte difficoltà a procurarsi commissioni retribuite, Korngold  fu molto più  fortunato e, grazie al proprio sfolgorante precoce talento e ai buoni uffici  del padre, introdotto nelle alte sfere della Vienna che contava, ebbe fin da piccolo moltissime offerte di comporre per le più diverse destinazioni: da camera, sinfoniche, per il teatro, per l’opera, e infine come sappiamo  per il cinema di Hollywood.

4 -Erich Korngold - Suite  aus Shakepeare  "Viel Lärmen Um Nichts" op 11 (1918)  18'
1.1.1.1.- 2.1.1.0. - Timp, Perc, - Arpa, Harmonium e Pianoforte (2 esecutori),  Archi 12.10.8.6.0.


Nel 1918  il prestigioso Burgtheater gli chiese di  comporre le musiche di scena per il dramma Shakespeariano Much Ado about Nothing (Molto rumore per nulla) , e il titolo in tedesco é Viel Lärmen Um Nichts. Quella di stasera é la seconda esecuzione italiana del brano.
La commedia di Shakespeare, ambientata in una Messina cinquecentesca sotto la dominazione spagnola, ma la cui trama risale a fonti classiche (Caritone di Afrodisia, II-II secolo A.C.) e ad altre fonti quali l’ariostesco Orlando Furioso, una novella di Matteo Bandello, Il Cortegiano di Baldassarre Castiglione, ha una complicatissima trama intessuta di elementi ora giocosi e farseschi, ora drammatici e tragici,  che si intrecciano in una girandola di equivoci, colpi di scena, balli in maschera, inganni amorosi , agnizioni e così via.
Quale migliore occasione per l’autore delle musiche di esercitare la propria fertile immaginazione musicale, componendo brani vocali, corali e strumentali dal carattere più vario e colorito? Korngold compose una partitura che comprendeva 14 numeri, per un orchestra formata, a causa delle ristrettezze economiche dovute alla guerra in corso, da  soli 19  strumentisti: 4 legni, 4 ottoni, 3 percussioni, arpa, pianoforte, harmonium (N.B. strumento molto usato esattamente negli stessi anni anche da Schoenberg e dai suoi allievi nelle riduzioni per ensemble da camera di opere orchestrali, nell’ambito della sua associazione Verein für musikalische Privataufführungen), quintetto d’archi.
Korngold stesso fu il direttore delle rappresentazioni al Burgtheater, che ebbero grandissimo  successo, e in seguito ne fece una Suite di 5  brani, riadattata per orchestra sinfonica.
A questo  proposito, c’é un piccolo mistero editoriale degno di nota: i materiali  della Suite nella versione orchestrale curiosamente oggi non sembrano essere disponibili presso alcun editore, anche se sappiamo con certezza che Korngold stesso approntò e diresse questa nuova versione dell’opera più volte. Probabilmente i materiali  sono andati  persi a seguito del trasloco negli Stati Uniti, e magari riposano in qualche angolo degli archivi polverosi della Warner Bros., presso la quale Korngold ebbe un contratto  stabile fin dal 1934. Speriamo  che un giorno  tornino  alla luce.
Dobbiamo perciò supporre che anche le diverse registrazioni discografiche (vecchie e nuove) oggi esistenti siano state fatte utilizzando i materiali della versione originale per piccola orchestra, alla quale manca la sezione dei contrabbassi. Dopo aver ascoltato tutte le diverse registrazioni disponibili, e aver riflettuto attentamente sulla possibilità di aggiungere di mia mano la parte dei contrabbassi, ho deciso di  non procedere a questa opera di “restauro”, nella convinzione che, non sapendo con assoluta certezza se nella seconda versione orchestrale redatta dall’autore ci fosse effettivamente un parte per i contrabbassi (dalle registrazioni sembra chiaro che non ci sia), comunque l’opera suoni perfettamente equilibrata così come é, utilizzando però l’intera orchestra  d’archi invece che un piccolo gruppo.

La Suite Viel Lärmen um Nichts op 11 consta di una Ouverture  e di quattro episodi : Mädchen im Brautgemach, Holzapfel und Schlehwein, Intermezzo, Hornpipe.
E’ notevole rimarcare che Korngold non si preoccupa affatto di ricreare con le sue musiche una atmosfera “elisabettiana”, né tantomeno di fare un ricalco ironicamente “neoclassicista” quale quello fatta da Richard Strauss con le sue musiche per Le Bourgoise Gentilhomme di Moliére, ma compone liberamente nello stile a lui più consono e contemporaneo, in quel modo naturalmente lirico ed elegante che noi potremmo definire stile della Felix Austria.
Il che conferma che quel linguaggio, nella musica e nelle altre arti, era vissuto dall’ élite austro-ungarica dell’inizio del XX Secolo come talmente universale e cosmopolita, talmente consustanziato al proprio stile di vita e alla propria Weltanschuung, da poter essere applicato senza alcun imbarazzo anche a opere artistiche lontanissime culturalmente, geograficamente e temporalmente, quali un dramma teatrale seicentesco ambientato nella Sicilia del cinquecento! 

L’ Ouverture é il brano più esteso e articolato, e segue a grandi linee, e in miniatura, data la piccola dimensione dell’intera Ouverture, la struttura della forma sonata.
Il primo tema,in Sol maggiore e dal carattere di danza, gaio e spensierato in tempo di 6/8 , é affidato ai legni, e suona un po’ come la sinfonia Italiana o lo scherzo della Sinfonia Scozzese di Mendelssohn:
*1  (tutti)  battuta 5 – II° dopo 2

Poco dopo, con grande abilità artigianale, Korngold sovrappone a questo, che ora funziona da “accompagnamento”,  il secondo tema più disteso  e cantabile, dalla liricità che potremmo definire profondamente viennese, oppure anche straussiana:
*2  (tutti)  n° 5 di partitura – n° 8

Segue un episodio di transizione che porta alla ripresa del tema principale ed é simile a un Galop alla Johann Strauss, come quelli che ascoltiamo tutti da Vienna nel concerto di Capodanno, oppure anche a uno scatenato CanCan  parigino:
*3 (tutti)  n° 9 di partitura – n° 11

Con questo si chiude per così dire l’Esposizione della forma-Sonata e inizia lo Sviluppo, che riprende il I tema in 6/8 dei legni, abbreviato  e modulato in progressione in diverse tonalità, per giungere ad un curioso interludio nella tonalità di Sibemolle maggiore dove il protagonista é l‘harmonium, che recita un piccolo semplice “corale” dal sapore vagamente ironico. L’harmonium come sappiamo é uno strumento che viene utilizzato prevalentemente in chiesa, a sostituzione dell’organo, ove questo  manchi.
Non saprei dire se questa scelta inconsueta dipenda dalla vicenda teatrale shakespeariana alla quale questo momento della partitura allude (il matrimonio che si celebra in chiesa tra i personaggi di Ero e Claudio?)
*4 (Solo HARMONIUM)  n° 14 di partitura – n° 15

La Ripresa, quasi del tutto testuale, si svolge correttamente, come vuole la Forma-Sonata canonica, nel tono della dominante, Re maggiore, e non vale la pena di darne un esempio musicale perché la grande “orecchiabilità” dei suoi temi ve lo farà riconoscere all’istante, e approda alla CODA, che é un virtuosistico e travolgente finale “Più Mosso”, nella tonalità “d’impianto” di Sol Maggiore.
Un particolare é degno di nota perché mostra la grande destrezza artigianale di Korngold: nella coda ritorna, un po’ en passant, il “Motto” cromatico di quattro note col quale l’Ouverture si apriva :
*5  (tutti)  battuta 1-2

e infatti  eccolo qui ripresentarsi nella coda
*6 (tutti)   tre battute prima  del n° 24 di partitura

*7 (tutti) n° 25 di partitura, per otto  battute

Mädchen im Brautgemach (fanciulla nella camera nuziale?)
La cui traduzione potrebbe essere “ la fanciulla nella camera nuziale” é una sentimentale romanza bipartita  più una coda, il cui tema principale inizia in modo capricciosamente cromatico, come alludendo alla acerba età della fanciulla in oggetto, e poi si distende in una linea melodica molto cantabile, quasi canzonetta teneramente infantile.
*1 (tutti) n° 1-2 di partitura

Degne di nota sono le due battute di apertura, nelle quali tre soli strumenti (flauto piccolo, violino e harmonium) eseguono 4 semplici accordi la cui concatenazione armonica é  alquanto misteriosa , e collegata in modo molto ambiguo a quanto segue, ma
Servono a creare una atmosfera incantata, fiabesca. 
*2 (piccolo, harmonium, violino) battute 1-2

Holzapfel und Schlehwein/marcia della Guardia (mela selvatica e liquore di more?)
L’indicazione Nel tempo di una grottesca marcia funebre  chiarisce senza ambiguità il carattere di questo terzo pezzo della suite. Korngold utilizza da par suo  un modello stilistico mutuato dalla tradizione popolare, come spesso succede ai  compositori viennesi di ogni tempo: e lo fa in un modo che ricorda molto da vicino ciò che Mahler faceva inserendo delle marce funebri, più o meno riconoscibili o stravolte, nelle sue sinfonie (la V, VI, VII)  anche se naturalmente con una intenzione grottesca sì, ma tragica e disperata.  In Korngold al contrario il tono é ironico e leggero,  emotivamente distaccato dalla temperie espressiva di una vera marcia funebre, come se la musica accompagnasse una pantomima o uno spettacolo  di marionette. Ma pur con questa differenza di fondo,  é  nell’armonizzazione e nella strumentazione che le somiglianze con Mahler sono  lampanti: uso finemente cameristico dell’orchestra,  colori strumentali lividi e spettrali,  fraseggi aguzzi, interrotti da accenti irregolari e rapide oscillazioni del tempo,  il classico “legno battuto” degli  archi,  e infine ovviamente  la melodia affidata in alcune parti alla tromba sola.
*1 (tutti) n° 1-3 di partitura

Intermezzo
Anche l’Intermezzo é una romanza, che si segnala per la strumentazione  ridotta, ancor più cameristica : solo 2  corni, arpa, harmonium, pianoforte, archi e .... solo  due rintocchi  del triangolo, che  contribuiscono al carattere delicato e sognante. Il brano infatti si snoda nella serena tonaità di Do maggiore – con solo una momentanea escursione in Mi bemolle. Il tema é introdotto dal violoncello solo, poi in duo  con una viola sola.
*1 (tutti) dall’inizio al n° 1 di partitura

Mummenschanz (Hornpipe)
L’ultimo numero della Suite é una Pantomima, e il titolo si riferisce forse a una scena della commedia Shakespeariana.
Il sottotitolo Hornpipe, cioé Cornamusa, é la forma di danza popolare usata da Korngold per chiudere la Suite. Leggiamo da Wikipedia: La hornpipe è un tempo di danza originario delle Isole Britanniche nato attorno al XIII secolo. Il nome viene fatto risalire all'uso popolare di danzare con accompagnamento di una "hornpipe" (lett.: "canna di corno"), strumento ad ancia, con canna semplice o doppia, ricavato da corna animali.
Molti compositori, principalmente inglesi, scrissero Hornpipes, da Henry Purcell (poi ripreso da Benjamin Britten nella sua Young person’s guide to the orchestra)  a Georg Frederich Händel, con la celebre Alla Hornpipe che fa parte della sua Watermusik,  e il brano  finale de Concerto Grosso N° 7 op.6 .
il biografo italiano di Korgnold , Mario Tedeschi Turco, sottolineando che in origine la Hornpipe é in tempo ternario ( 3/4 o 9/8), mentre quella di Korngold é in tempo  di  2/4, la accosta per questo motivo alla Fuga all’imitazione della cornetta de postiglione che fa parte del Capriccio sopra la lontananza del fratello dilettissimo BWV 992 di Bach, anche se la Hornpipe di Korngold non é affatto una fuga ma un brano di grande virtuosismo e di spensierata allegria, privo di ogni intellettualismo, esattamente come  vuole la forma originaria e popolare di questa danza.
Il virtuosismo é richiesto in particolare proprio ai corni, ( non per niente é una Horn – pipe!) che espongono  il loro tema baldanzoso:
*1 (tutti) dall’inizio a quattro battute dopo il n° 1 di partitura

L’effetto “cornamusa”, che come sappiamo consiste di un bordone armonico fisso sul quale svetta la melodia, si presenta quasi subito:
*2 (tutti) n° 2 di partitura col levare,  per otto battute fino  a “ Lustig”

Al centro del brano però il clima epressivo smette per un attimo di essere British  e acquista il carattere inequivocabile di un Ländler viennese, con tanto di indicazione Lustig” ( buffo, divertente)  che sappiamo essere usata molto spesso nelle musiche viennesi, e da Richard Strauss (Till Eulenspiegel Lustige Streiche)
*3 (tutti) “ Lustig” , fino  al N°3  di  partitura

1 commento:

  1. Bellissima analisi, e grazie per le citazioni!
    P.S. Korngold era sotto contratto con la Warner Bros, non con la Metro ;-)
    Un cordiale saluto e un augurio di buon lavoro, Maestro.
    Mario Tedeschi Turco

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