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lunedì 29 dicembre 2014

RepertorioZero, il pendolo della Storia da che parte va?


Se dovessimo riassumere in una parola l’impressione principale avuta all’ascolto del concerto di Repertorio Zero, senza temere di cadere nella retorica, si potrebbe usare – senza alcuna ironia – la parola Coraggio. Repertorio Zero é un gruppo di compositori, informatici musicali, strumentisti, nato principalmente intorno a un’idea semplice quanto rischiosa, e forse utopistica: inventare una nuova liuteria, cioé nuovi strumenti musicali, “acustici” o assistiti dal medium informatico, adeguati allo stato dell’arte della ricerca musicale contemporanea; e insieme inventare il repertorio per valorizzarli. 
Dunque una ipotesi coraggiosa e visionaria, Ai confini della terra fertile per dirla con Boulez, sullo sviluppo futuro della musica, che evidentemente gli animatori di Repertorio Zero prevedono destinata ad arricchirsi di tutte le risorse fornite dall’ informatica applicata a strumenti vecchi e nuovi; siano essi gli strumenti tradizionali ripensati, riutilizzati in modi inediti; siano essi oggetti di comune impiego quotidiano tra i più impensabili per l’impiego musicale (frullatori, giocattoli, radioline, trombette, campanelli, sveglie,ogni sorta di  oggetti  sonori) ma i cui suoni risultano fertili e interessanti da utilizzare in un lavoro compositivo complesso. Nel contesto attuale della musica contemporanea, dove la spinta propulsiva delle avanguardie del secolo scorso si é indebolita e stenta a proporre nuove ipotesi estetiche convincenti al suo pubblico, disperdendosi in una poliforme galassia di neo-accademismi, trovarobato, suggestioni modaiole, Repertorio Zero persegue la sua ricerca con grande radicalità e rigore, e si caratterizza ormai come punta avanzata e laboratorio-modello imprescindibile per tutti coloro che si occupano di ricerca “pura” sul linguaggio musicale contemporaneo – e forse futuro, chissà; oltre che nell’altissima qualità delle esecuzioni strumentali, che si avvalgono di un gruppo di musicisti già ben noti e affermati individualmente, e completamente dediti alla missione di rendere il miglior servizio possibile ai compositori.
Il concerto conclusivo del Festival 2014 di Milano Musica, quest’anno dedicato alla figura del compositore Fausto Romitelli, del quale immaginiamo i lettori conoscano almeno per sommi capi la vicenda artistica e umana, e sulla figura del quale dunque non ci dilungheremo, comprendeva l’esecuzione del ben noto trittico per ensemble amplificato Professor Bad Trip I, II, III, alternato a due nuove opere di Giovanni Verrando e Riccardo Nova, compositori milanesi che hanno condiviso con lo stesso Romitelli gli esordi delle loro carriere musicali, e che per questo motivo hanno ricevuto dal Festival la richiesta di comporre nuovi lavori, “ispirandosi” o comunque ricollegandosi al lascito artistico del compositore goriziano/milanese.
Eviteremo di addentrarci nei dettagli compositivi delle singole opere, estremamente interessanti da più punti di vista: ma sarebbe inutile scriverne qui, non essendo questa una normale “recensione”, e nessuna descrizione potendo sostituire l’ascolto diretto. Ci limiteremo quindi a proporre qualche riflessione di ordine più generale che la serata ha suscitato in chi scrive.
SOUND
Innanzitutto impressionava l’impatto puramente fonico del concerto: sappiamo che l’amplificazione dell’ensemble strumentale a (relativamente) alto volume é strutturalmente consustanziale all’estetica romitelliana, che fonde la lezione del pensiero compositivo della scuola spettrale francese degli anni Settanta con la potenza fonica, l’impurità e la visceralità del sound del Rock e del Pop: e non a caso tra gli strumenti dell’ensemble vi sono chitarra e basso elettrici e sintetizzatore, a fianco dei consueti archi, fiati, pianoforte, percussioni eccetera.
Il suono amplificato – ma forse a questo punto dovrei chiamarlo sound – che si é ascoltato era di grande ricchezza e potenza, al quale gli ascoltatori della musica contemporanea tradizionale (mi si passi l’ossimoro) non sono abituati. E già questo é un elemento di immediata evidenza, che contraddistingue i concerti di Repertorio Zero. La complessità delle opere eseguite, nelle quali sono integrati strumenti acustici, “elettrici”, informatici, esige certamente una amplificazione molto raffinata per bilanciare e fondere insieme le diverse fonti sonore fino a costituire un unico sound, al tempo stesso dettagliato, ricco e potente.
Ma non c’é solo un motivo meramente acustico, tecnico, perché l’amplificazione sia così potente e invasiva: c’é una precisa scelta estetica, coerente con il linguaggio scelto, che (consapevolmente o meno) emula anche, come già detto, l’impatto sonoro dei concerti rock. Ci sarebbe da chiedersi se non vi sia una qualche involontaria contraddizione tra la sostanza strutturalmente complessa delle composizioni presentate, che esigerebbero un ascolto concentrato e vigile, e la ipertrofica, fusionale “veste sonora” con la quale sono presentate: che invece sembra invitare a un ascolto più viscerale, abbandonato, irrazionale, sul modello appunto del linguaggio rock/pop.
Infatti la visceralità magmatica, tellurica di almeno quattro delle cinque composizioni eseguite, le ondate di materia incandescente che scaturiscono dall’amplificazione, mi hanno fatto pensare all’espressionismo violento dello Schoenberg prima maniera. Nelle sue opere “liberamente atonali” intorno agli anni Dieci egli dichiarava di comporre seguendo esclusivamente le proprie emozioni ed intuizioni, senza altra disciplina particolare, affidandosi alla guida di quello che in quegli  stessi  anni  il  dottor Freud definiva l’Inconscio. Anche lui, Schoenberg, componeva in quel periodo incubi sonori, visioni allucinatorie, stati di coscienza alterati, fissità raggelanti, colate di magma rovente: penso in particolare ai pezzi più “potenti” dell’op.16, dove la grande orchestra diventa amplificatore, ad altissimo volume, dell’ UrSchrei espressionista.
Ho pensato che il pendolo della storia oscilla perennemente, e così, dopo l’indigestione razionalistico/cartesiana del serialismo Leibniziano e dopo il  “pensiero debole” del postmodernismo, si direbbe che i nipotini di Darmstadt – lo dico qui affettuosamente, con un sorriso scherzoso ai compositori della serata – volgano nuovamente lo sguardo all’irrazionale, mediato in parte anche attraverso il filtro più connaturato alla nostra generazione: la musica rock, con tutto il suo contesto psichico/antropologico/rituale.
Ma con in più, forse, anche un certo barocchismo, un gusto dell'abbellimento, della ghirlanda a festone floreale, del dettaglio nascosto, sapientemente cesellato, che solo un attento ermeneuta può scoprire nell’intrico della giungla amazzonica sonora, e trarne la sua brava soddisfazione di ascoltatore strutturale. Questo gigantismo fonico, e la sua implicita, inevitabile retorica magmatico- viscerale io l’ho insomma, per qualche perverso labirinto del mio pensiero, associato istintivamente a quello delle enormi compagini orchestrali post-romantiche dal suono super vitaminizzato, dalla agitazione ipercinetica e dalla timbrica saturata: come anche al medesimo tipo di gigantismo rock degli anni Settanta, con i  suoi  distorsori e i suoi “muri” di amplificatori Marshall. Con una battuta spiritosa viene da dire che i musicisti di Repertorio Zero siano in un certo senso dei wagneriani inconsapevoli, che pur esibendo un programma estetico dai connotati fortemente tecnologico/intellettuali amino anche loro, come tutti e fortunatamente, lasciarsi travolgere dalla lunghissima onda oceanica dell’ Höhepunkt nel Preludio di Tristan..Ma non é tutto.

DRAMMATURGIA
Il concerto assume una nuova forma rituale anche nel suo stesso svolgersi scenico, drammaturgico. All’inizio, a luci basse, un “drone” (un continuum sonoro computerizzato tratto dalla parte elettronica finale di uno dei Professor Bad Trip) crea un ambiente emozionale vagamente science-fiction, e su questo sfondo i musicisti entrano in scena e prendono posto: al salire delle luci parte la prima esecuzione strumentale, al termine della quale torna il “drone” che sonorizza “emozionalmente” la preparazione dei musicisti per l’esecuzione del pezzo successivo, e così via fino alla conclusione del concerto, che fila in tal modo senza interruzioni, inibendo ogni applauso: che può scatenarsi, scrosciante e liberatorio,  solo alla fine dell’intera performance.
È degno di nota anche un particolare dettaglio scenografico: le sedie sulle quale stanno gli  strumentisti sono curiosamente legate a coppie di funi pendenti dall’alto, e la scena assomiglia così, con ironia forse involontaria, a un bizzarro teatro di marionette. Si tratta insomma complessivamente di una studiata drammaturgia, intesa ad evitare la ritualità del concerto tradizionale, e a favorire uno stato di ininterrotta fascinazione, analogo a quello indotto da sostanze psicotrope. Anche qui, mi si permetta con una innocente battuta di osservare che il fantasma del Gesamtkunstwerk e dei Pink Floyd (?) sembra aleggiare nella sala.
AUTONOMIA
E ancora non é tutto: bisogna far cenno a un ulteriore elemento essenziale dell’interpretazione, e cioé ancora una volta al grande coraggio esibito dai musicisti di Repertorio Zero nell’eseguire tutto il concerto senza l’ausilio di un direttore d’orchestra.
Pur consistendo il programma di brani dall’organico numeroso e dalle difficoltà esecutive rilevanti, che richiederebbero una figura di coordinamento, é stata fatta la scelta di eseguirlo guidati, per quanto riguarda il mero sincronismo dell’assieme, esclusivamente dal click che ogni strumentista riceve via radio nel proprio auricolare. Al di là della oggettiva maggiore difficoltà pratica, e il notevole numero di prove necessarie, la rinuncia alla figura del direttore appare significativa da più punti di vista.
Innanzitutto, ancora una volta pare alludere alla prassi dei concerti rock/pop, nei quali non si é mai vista la presenza di un direttore d’orchestra: salvo rare eccezioni, quali ad esempio Frank Zappa, il quale talvolta si improvvisava direttore per le sue composizioni più  complesse.
In secondo luogo, vale come segno palese, sopratutto nella sua evidenza scenica e teatrale, della volontà di essere autonomi e non affidare il taglio interpretativo alla mediazione di un direttore che potrebbe essere più un ostacolo che un aiuto, o non risultare del tutto conforme al pensiero estetico di Repertorio Zero, che si candida legittimamente ad essere il depositario della “interpretazione autentica” dell’estetica romitelliana, e intende evidentemente fissare un punto di riferimento imprescindibile per altri che vi si vogliano cimentare da ora in poi. Una sorta di  filologismo contemporaneo, insomma.
In terzo luogo appare, ed é effettivamente, una grande esibizione di virtuosismo strumentale, che si aggiunge agli altri elementi scenico/rituali del concerto, e che il pubblico non può non apprezzare.
Va considerato inoltre un ultimo elemento “ teatrale” e scenico non marginale:  la presenza di un direttore in mezzo alla scena inevitabilmente avrebbe ostacolato la visione di alcuni dei musicisti da parte del pubblico, e con le sue inevitabili coreografie avrebbe impedito allo stesso di focalizzare l’attenzione visiva esclusivamente sugli strumentisti e sul loro suonare: il che sembra essere il centro del messaggio visivo di Repertorio Zero.

ALIENAZIONE?
Infine, una riflessione sorge alla mente, nell’assistere a una esecuzione live nella quale ogni singolo strumentista é legato al proprio click, concentrato su se stesso, con la sua cuffia in testa e davanti al proprio monitor audio.
La domanda é: questo è "suonare insieme"?  Non lo è più certamente nel senso tradizionale della parola: appare piuttosto una cosa simile all’ overdubbing che si pratica in sala d'incisione. Ogni strumentista esegue la sua parte non più "insieme" agli altri ma piuttosto "sopra" gli altri, anche se in contemporanea.
La questione pare presentare degli aspetti problematici perfino a livello  filosofico: si potrebbe in questo caso parlare di alienazione del musicista che, collegato al suo click, é allo stesso tempo presente ma anche assente dalla effettiva condivisione in tempo reale dell’ interpretazione?
Quanto controllo ha il singolo strumentista non soltanto sul suono globale dell’ensemble, che viene ovviamente forgiato e bilanciato in ultima analisi dal tecnico seduto  dietro il mixer al centro della sala (in pratica, il vero direttore dell’esecuzione), ma anche sul come il proprio suono personale venga integrato  e/o distinto da quello  degli altri?
Come si vede, applicare a un ensemble strumentale proveniente dalla tradizione “accademica” (fatti salvi chitarra e basso elettrico) le tecniche di amplificazione, monitoring, overdubbing normalmente applicate in altri campi implica delle problematiche degne di approfondimento.
Ma é lontano mille miglia dal mio pensiero ogni scetticismo, ogni pregiudizio nei confronti della tecnologia in generale, e tanto meno su quella applicata alla musica, e sono certo che col tempo e con l’abitudine a queste diverse modalità esecutive, i problemi tecnici e quelli interpretativi troveranno un loro equilibrio ottimale.
IL PENDOLO DELLA STORIA
Come abbiamo cercato  di spiegare in questo resoconto, la sostanza intellettuale della  ricerca di Repertorio Zero é rigorosa e di alto livello: e anche se la veste esteriore della performance sembra suggerire una estetica della percezione quasi allucinatoria, che rimanda a stagioni più underground, la concreta realizzazione del concerto – che esige risorse tecnologiche ed economiche notevoli – si prende cura con grande attenzione di ogni singolo aspetto, da quello esecutivo a quello sonoro a quello drammaturgico. 
Siamo quindi di fronte a un progetto di grande interesse, che potrebbe svolgere un ruolo positivo nello sviluppo futuro di quella che una volta si chiamava la musica d’avanguardia. In un tempo nel quale  si dà per scontata la fine delle avanguardie e molti si affollano nella corsa a improbabili contaminazioni più o meno riuscite, viene da pensare che mai come oggi scegliere la strada dell'avanguardia, se lo si fa con questo coraggio e rigore, sia ancora e sempre la cosa giusta da fare. Il pendolo della Storia e delle mode oscilla continuamente, e forse, dopo un lungo periodo, sta per approdare nuovamente sul lato della ricerca musicale? 

(Articolo presente anche su Il Corriere Musicale)
http://www.ilcorrieremusicale.it/2014/11/17/repertoriozero/

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