"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


"Musica est exercitium aritmaeticae occultum nescientis se numerari animi“

- G.W. Leibniz


"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

lunedì 3 novembre 2014

L'altroieri i compositori italiani popolari in tutto il mondo erano Verdi, Puccini. Oggi Albano, Celentano, Ramazzotti. Non é un po' strano? E perché succede?


Lo so, dico una grandissima banalità, ma il problema rimane, grosso come una casa, ed è il seguente.
In tutto il mondo quando dici "Italia" ti rispondono "Cultura" "Rinascimento", Michelangelo, Raffaello, Leonardo, Verdi, Puccini. Ma per quanto riguarda in particolare i musicisti/autori contemporanei, i nomi oggi celebri in tutto il mondo sono Albano, Celentano, Ramazzotti e così via. Dimenticavo Ennio Morricone, mi si fa osservare. Giusto. Ma non è un musicista "puro": o meglio lo è, ma la sua celebrità l'ha ottenuta come autore di musiche (bellissime) da film, mentre la sua produzione "pura" rimane sconosciuta, cosa della quale lui stesso si duole moltissimo. 
E il fenomeno  di cui  parlo non è limitato al nostro paese: dovendo nominare un compositore celebre ad esempio di area germanica (la nazione musicale per eccellenza) dopo Wagner, Schumann, Strauss, Mahler, chi nominereste?
 Il pendolo della storia della musica, a partire da un secolo fa, sembra oscillare da tutt'altra parte. Non sono così ingenuo da pensare che la popolarità presso i contemporanei sia indice di qualità. E la storia ci insegna che molti artisti "inattuali" hanno dovuto attendere anche secoli prima che i tempi fossero maturi per la comprensione del loro lavoro da parte del vasto pubblico: Bach ne è l'esempio più clamoroso. 
Ma è chiaro che abbiamo un problema. La musica contemporanea di estrazione "accademica", anche quella "neo-qualcosa", non è popolare; sembra destinata a rimanere confinata dentro un circuito e un pubblico di minoranza. Ma forse questa constatazione è frutto di una pura illusione ottica? Anche il pubblico che a fine del XIX secolo affollava le sale da concerto e i teatri d'opera era una minoranza, prevalentemente costituita dalla classe allora dominante, la borghesia che voleva veder rispecchiata nelle forme di spettacolo la propria ideologia, i propri valori e stili di vita. Oggi, in una società più stratificata e frammentata, è forse più difficile che mai per il musicista "puro" parlare alle diverse componenti della società?
Avanzo una ipotesi provocatoria: il Novecento, con le sue aspirazioni universalistiche di riscatto dei popoli, con le sue utopie ideologiche, ha finito per fare della parola "Cultura" un feticcio, uno slogan. Certamente Verdi e Puccini e Mahler e Strauss sapevano bene di essere innanzitutto dei produttori di cultura. Ma il teatro d'opera era invece recepito dal pubblico innanzitutto come intrattenimento (oggi gli americani dicono "entertainment"). A teatro ci si andava per mille ragioni diverse, oltre che per ascoltare musica e vedere belle scene o balletti: per divertimento, per status symbol, per pubbliche relazioni, per moda, eccetera. Toscanini fu il primo, a inizio secolo, a esigere il buio in sala e il silenzio assoluto durante le recite alla Scala! Ma Wagner a Bayreuth aveva già da decenni chiuso il cerchio, collocando il melodramma in un' aura di sacralità riservata al pubblico più "colto" e consapevole. Dunque questo "feticcio" della Cultura oggi rischia di essere controproducente?
I discorsi alti, il modo verboso, sussiegoso, intellettualistico col quale vengono generalmente presentate le composizioni contemporanee nuoce alla loro stessa causa, allontanando il grande pubblico invece di avvicinarlo? O invece, banalmente, ci si lamenta che non c'è abbastanza cultura in circolazione, ma nella realtà le cose stanno  diversamente, e in una grande città può succedere che nella stessa sera ci siano fino a 4 o 5 concerti tutti molto interessanti e cosi dovendo scegliere a quale recarsi, per forza di cose il pubblico sembra essere ovunque poco?
L'offerta culturale è eccessiva o mal coordinata?

E' vero, ultimamente SEMBRA che la rottura più profonda nel rapporto tra "pubblico" e musica "contemporanea" si sia parzialmente rimarginata; c'é un miglioramento nella ricezione e frequentazione delle proposte attuali. Ciò é avvenuto grazie al fatto che almeno da 10-15 anni i promotori (editori, organizzatori) hanno iniziato a selezionare meglio le opere da presentare, e anche grazie a un approccio più comunicativo da parte dei compositori: i quali oggi affrontano più spesso temi di attualità, oppure usano un linguaggio meno iniziatico; oppure ancora presentano il loro lavoro in un contesto più accattivante, ad esempio con spettacoli multimediali, tecnologici, visualmente affascinanti. Resta da vedere se questo "trend" sia destinato a continuare oppure é un escamotage temporaneo, non di lungo respiro. Certamente la musica dovrebbe spiegarsi da sola: se ha bisogno di diagrammi e teorie c'é qualcosa che non va. Spetta ai musicologi il compito, DOPO, di analizzare, descrivere, trovare punti di contatto o di frattura con il passato eccetera. E tuttavia oggi comporre senza preoccuparsi di comunicare qualcosa che "parli" alla ggénte sembra che non basti più. E' necessario costruire il terreno nel quale una musica possa essere recepita al meglio. Sto parlando di EDUCAZIONE musicale (e non uso la parola "Cultura" apposta). Poi é necessario che i compositori imparino veramente la lezione: il distacco dalla communis opinio non ha fatto del bene innanzitutto a loro stessi. E in qualche modo ha ragione chi dice che le attuali incursioni barbariche nel mondo della musica "classica" sono la conseguenza del fatto che i compositori "colti" hanno abbandonato il campo...
il pensiero sostanzialistico, se posso così definirlo- cioè di fiducia nell'onestà intellettuale e nel talento del compositore quali uniche garanzie di qualità, io lo apprezzo molto. Tuttavia mi pare che chi si limita a ciò trascuri di considerare il contesto reale nel quale la musica concretamente viene eseguita e vive. 
Un esempio attualissimo: le recenti vicende dei teatri e orchestre romane rischiano di far si che Roma, la capitale, con non so quanti milioni di abitanti, si potrebbe trovare molto presto a disporre di una sola orchestra sinfonica. Il che sarebbe di una gravità inaudita. Io interpreto questa situazione come la possibile anticipazione di quello che potrebbe essere il panorama nazionale dei prossimi anni, e non solo nel nostro sfortunato paese: in tutto il mondo si sta scoprendo che gestire e mantenere un'orchestra è impresa sempre più difficile, economicamente e anche per il calo di interesse del grande pubblico verso la musica "classica". Negli  Stati Uniti da molto tempo anche le maggiori orchestre sinfoniche fanno programmi "pop" (musiche da film, concerti Halloween, eventi multimediali) per mantenere il loro pubblico e possibilmente farlo crescere. Domando a chi scrive musica "colta" per orchestra, per ensembles: come ti poni di fronte all'ipotesi di un futuro, pericolosamente prossimo, nel quale gli strumenti per eseguire la tua musica non esistano più oppure siano ridotti al lumicino? Continui ad accontentarti dell'onestà intellettuale e del talento del compositore?
Se dovessi insomma cercare di tirare le fila delle infinite discussioni che si fanno quasi quotidianamente sull'argomento, di persona o sui social networks, mi verrebbe voglia di concludere che tutti sentiamo, in maniera più o meno accentuata, il problema ideologico che io ponevo come provocazione: quando si é incominciato a distinguere la "vera Cultura" dal resto, e a farne un feticcio ideologico, non tanto (meglio,non soltanto) per farne uno strumento di autoaffermazione di una classe intellettuale egemone, ma anche e SOPRATUTTO come slogan social/politico ("le masse devono imparare la Cultura! la Cultura deve essere per tutti!") e giù concerti nelle fabbriche, nei centri sociali, nelle manifestazioni politiche, allora é si é accelerato il  moto di una spirale che ha paradossalmente ancora più allargato la distanze tra autori e fruitori. Del resto, Il dibattito sulla natura ideologica della distinzione di generi "leggero" e "pesante" nel nostro paese risale almeno agli anni '50, seguito e amplificato poi dalla pubblicazione di alcuni libri fondamentali tra i quali ad esempio Apocalittici e integrati di Umberto Eco.
Dunque siamo più che mai ancora dentro quella storia, e se possibile la situazione é diventata nel frattempo ancora più complessa perché la società si é ulteriormente stratificata, frammentata. 

Per concludere, inevitabilmente senza una vera conclusione, dico che l'unica cosa che sappiamo con certezza é che le cose cambiano, e che il cambiamento é inevitabile: e che anche quando sembra essere una perdita di valori ai quali siamo affezionati, con i quali siamo diventati ciò che siamo, forse perderli o dimenticarli non sempre é un male.
Tempo fa avevo domandato a me stesso se sarebbe stato spaventoso pensare a un futuro nel quale la gente avesse dimenticato Beethoven (come supremo esempio di ciò che per la società di oggi é la musica classica).
Fantasticavo un futuro (sperabilmente lontano) nel quale la musica che oggi consideriamo classica e che gode ancora tutto sommato di parecchio favore potrebbe essere dimenticata, relegata alla cura e al culto di una infima minoranza di "eletti": più o meno come oggi i cultori di Guillaume de Machaut.
E mi dicevo che non necessariamente in quel futuro lontano mancherà nutrimento di alta qualità per le orecchie dei posteri.
Al posto della musica classica ci sarà certamente altro, magari oggi del tutto inimmaginabile. Qualche altro musicista, o qualche altra forma di musica "d'arte" che sostituirà nel futuro quello che Beethoven significa oggi per noi.








1 commento:

  1. A mio avviso è molto importante essere vicini a certe tematiche, oggi è fondamentale dare attenzione a quei settori che richiedono particolare attenzione http://www.modenatoday.it/cronaca/croce-blu-soliera-campagna-solidarieta.html

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