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mercoledì 20 maggio 2015

CO2 di Giorgio Battistelli al Teatro alla Scala



Giorgio Battistelli ha un acuto senso del Teatro e della drammaturgia.
I suoi  lavori sono sempre ispirati a soggetti di grande efficacia, perché ben conosciuti dal pubblico per le precedenti celebri versioni cinematografiche (Prova d'orchestra, Teorema, Miracolo a Milano, Divorzio all' italiana) o perché trattano, sia pur metaforicamente, temi importanti, quali il Potere, il Lavoro (Riccardo III, Experientum Mundi).
Per il Teatro alla Scala ha scritto un lavoro che richiama i temi dell' EXPO che in questi mesi si svolge nella città: non solo la nutrizione e i problemi della sua produzione ed equa distribuzione, ma sopratutto la sostenibilità a lungo termine della vita stessa del pianeta e dei suoi abitanti, umani e animali. 
Tema estremamente ambizioso, probabilmente il più alto che possa oggi trattare un artista, all'incrocio tra scienza e filosofia.
Come sintesi delle tematiche affrontate nell'opera, consiglio di leggere qui la scheda molto interessante scritta da Ian Burton per il sito del Teatro.


Raccontare CO2 sarebbe inutilmente lungo in questa sede. Basti dire che si tratta di un grande apologo mitico/storico/scientifico sulle ben note problematiche del riscaldamento globale e sugli effetti potenzialmente catastrofici del cambiamento climatico indotto dall'antropizzazione e dalle attività industriali. Le scene si svolgono tra Mito (la Creazione e il Giardino dell'Eden), vita quotidiana (il supermercato globalizzato), Politica internazionale (la Conferenza di Kyoto e l'inapplicato Protocollo che ne scaturì), visioni mistico/scientifiche (l'ipotesi di Lovelock "Gaia, il pianeta vivente").  
L'invito alla presa di coscienza di ciascuno di noi per modificare i consumi in direzione più ecosostenibile é, pur nella sua estrema importanza e centralità, probabilmente la parte meno efficace dell' opera, perché in fondo ci dice ciò che tutti già sappiamo.
E la -forse inevitabile- presentazione di grafici e statistiche talora eccessivamente didascalici, con i dati scientifici che mostrano la catastrofe ecologica che ci attende dietro l'angolo, fa sì che lo spettatore in alcuni momenti abbia l'impressione di assistere più a un congresso di No-Global che a un'opera di teatro musicale. I numeri e le statistiche mal si acconciano a essere rappresentati in forma sublimata sotto il segno dell'arte: ma é un prezzo che l'autore è evidentemente disposto a pagare perché su questi dati si fonda appunto la tesi dell'opera. 
Forse sarebbe stato opportuno sottolineare in modo più marcato un aspetto filosofico della questione, controverso quanto affascinante, e che avrebbe potuto far elevare il tema dell'opera a un livello superiore e se vogliamo, più provocatorio: la specie umana, per gli ecologisti, si é contrapposta alla "Natura"  e ha modificato il clima del pianeta fino a renderlo pericoloso per la sua (dell'Uomo stesso) sopravvivenza.
Ma la specie umana non viene da un Altrove, é essa stessa "Natura".

Nel sottofinale il personaggio di Gai dice chiaramente: "la Specie Umana potrà scomparire, ma io continuerò a vivere". 
Sarebbe come dire: la tua estinzione, o Uomo, non ha più importanza di quella delle migliaia (milioni) di altre specie animali e vegetali che sono avvenute da che il pianeta é abitato. E' inscritta anch'essa come una delle tante possibilità, nient'affatto catastrofiche, del Cosmo. E' inscritta fin dall'Inizio nella Natura che, leopardianamente, non si cura delle sue creature. 
Forse é mancato all'autore il coraggio di giungere a queste conseguenze pessimistiche. Forse ha preferito insistere sul lato morale della questione, facendo della sua opera un appello etico (pressante quanto ben noto) piuttosto che un più inquietante interrogativo esistenziale. 

Dal punto di vista musicale, Battistelli si conferma compositore attentissimo alla immediata fascinazione sonora ed anche molto colto, come sanno tutti coloro che conoscono la sua attività di direttore artistico di istituzioni concertistiche. 
La musica di CO2 é quasi sempre estremamente evocativa, sa catturare anche il pubblico non "addetto ai lavori" con un uso efficacissimo di molteplici declinazioni stilistiche delle musiche "colte" come di quelle extra-colte: e così troviamo, amalgamati in un tessuto che pur essendo multicolore rimane omogeneo e compatto, "fasce sonore" alla Ligeti, "informale",  aggregati accordali "spettrali", riferimenti al mondo Pop/Rock (in orchestra c'é il basso elettrico e una pletora di percussioni), canti rituali della Grecia antica, accenni di salmodie medievali e così via. L'uso dell'orchestra é sempre misurato, e la scrittura procede per campi accordali a fasce sonore, sempre molto ben resi nell'orchestrazione, accuratamente evitando di cadere in citazioni evidenti o ricalchi troppo letterali, e valorizzando al massimo l'evocatività del materiale utilizzato. 
L'abilità dell'autore é poi manifesta sopratutto nella sapiente giustapposizione/ modulazione delle diverse situazioni sonore corrispondenti alle varie scene del soggetto drammaturgico, che non durano mai fino al punto di venire a noia, e ciascuna delle quali ha una sua propria "cifra" stilistico/linguistica che le conferisce identità precisa e originale. Quella che a me é piaciuta particolarmente é la scena di massa dell'assemblea dei delegati a Kyoto, quasi del tutto corale, nella quale la scrittura alterna in modo vivace ed efficacissimo (e tragicamente ironico)  parlato, declamato, urlato, cantato, e così via, coerentemente con il caos di quella tempestosa storica Conferenza.
Una tecnica della scrittura vocale di massa peraltro già ben utilizzata più  volte da Luciano Berio, e che Battistelli non ignora e riprende da par suo in modo personale.  
Le parti corali sono infatti quelle a mio parere meglio riuscite: oltre alla conferenza di Kyoto, il coro di voci bianche fuori scena, la salmodia antico greca, il sestetto della penultima scena. 
Più debole invece, a mio avviso, il trattamento delle parti vocali solistiche, che non volendo utilizzare stilemi scontati quali quello lirico "di tradizione" o quello dell'opera "contemporanea d'avanguardia" né volendo ricorrere a linguaggi vocali della contemporaneità più Pop (e per fortuna: in un simile soggetto avrebbero avuto un effetto contrastante con il senso dell'opera) non riesce a inventare una terza via originale e rimane a metà strada tra il declamato ieratico e il recitativo.  Del resto, questo della vocalità rimane a mio  parere IL problema del teatro musicale contemporaneo dopo Berg, col quale hanno dovuto fare i conti tutti  i più  grandi compositori, da Ligeti a Berio a Stockhausen e così via.     

La regìa di Robert Carsen valorizza e sostiene pienamente il contenuto dell'opera, al punto che ci si potrebbe chiedere se in mancanza di una regìa così "giusta" e visionaria il lavoro avrebbe ugualmente colto il meritato successo. 
Ogni scena é risolta in modo efficace, sia dal punto di vista delle soluzioni tecniche della macchina teatrale e dei movimenti di massa, sia da quello della fascinazione visiva. 
Il soggetto d'altra parte, con l'assenza quasi totale di personaggi "reali" dotati di una loro psicologia individuale, ad eccezione del protagonista-scienziato il Dott. Adamson, pone problemi rilevanti al regista, che si trova a dover manovrare principalmente situazioni  astratte o di massa, quasi senza quella componente essenziale del Teatro che é la Dramatis Persona.Dunque Carsen ha molto lavorato sull'impatto visivo, con proiezioni multimediali (naturalmente), e attenta alternanza di situazioni molto movimentate (Supermercato, Conferenza di Kyoto ) e molto statiche (Giardino dell'Eden, Apocalisse finale)  
In alcune occasioni, come ad esempio nella Danza scatenata dei ballerini di tutte le civiltà del Mondo (non saprei come chiamarla altrimenti) forse si é  un po' fatto prendere la mano dalla dimensione spettacolare/ginnica, e a me é venuto in mente  - mutatis mutandis - uno show del Circle du Soleil che qualche giorno fa é andato in onda in televisione: ballerini, acrobati su trampoli, personaggi che volano per aria, e così via. Ma questa é una impressione personale, senza alcuna importanza. 

Per concludere: se potete, andate a vedere questo CO2.
Prefigura una ipotesi di possibile teatro musicale futuro, che non rifiuta la dimensione spettacolare e si pone verso il pubblico senza alcun severo cipiglio "d'avanguardia"; vuole coinvolgere su un tema di interesse collettivo con un linguaggio sorvegliato ma adatto a tutti senza essere semplicistico, e a me pare che tutto sommato ci sia riuscito. Gli applausi prolungati di tutto il teatro, dal loggione alla platea, ne sono una dimostrazione esauriente. 

E non fate caso al logo della Apple che viene continuamente messo in scena, con veri Mac utilizzati dai personaggi in scena e con la proiezione su grande schermo del desktop del Sistema Operativo MacIntosh: probabilmente la Scala ha pagato le royalties per l'utilizzo del Brand. Oppure chissà, la Apple ha sponsorizzato il teatro in cambio della pubblicità, sarebbe interessante saperlo.
Certo é un caso singolare nella storia recente del teatro musicale. 
Ma così va il mondo, amici! 






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