"Sto diventando un po' troppo critico per potermi illudere ulteriormente di avere qualche talento" - F. Nietzsche


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"I pecoroni non vogliono diventare padroni del loro lavoro!" - C.T.


"Tutta la musica è contemporanea."

domenica 20 agosto 2017

MUSICA ANTICA E SOCIETÀ CONTEMPORANEA


La musica del Settecento sembra avere oggi, nel XXI secolo, più o meno la stessa popolarità (a volte sconfinante nel fanatismo di massa) della musica pop.
Un vastissimo pubblico di tutte le età e livelli di scolarità e cultura accorre ai concerti, compra dischi e alimenta un mercato globale che ormai mi pare stia scavando il fondo del barile di tutto l'immenso patrimonio musicale che era rimasto per secoli sepolto nelle biblioteche.
Come era prevedibile e fisiologico, oggi dopo aver pubblicato decine o centinaia di versioni dei più alti capolavori del repertorio barocco
- uso questa definizione generica per comodità - si riscoprono autori e opere minori che poco o nulla aggiungono alla nostra conoscenza, e si è passati ora anche a lavorare di fantasia, re-inventando con una certa spregiudicatezza opere incomplete o dubbie, proponendo versioni arbitrarie o improbabili ibridazioni etnico/linguistiche funzionali al gusto postmoderno contemporaneo (mi riferisco qui alla recente "querelle" sulle interpretazioni del celebre Jordi Savall, a parere di qualcuno piuttosto spregiudicate; ma non è che il caso più noto). 

Anche a me piace molto la musica antica, sia chiaro.
E trovo del tutto normale e giusto che essa venga apprezzata da un grande pubblico, insieme alla grande pittura che da sempre si è potuta ammirare nei vari musei e nelle chiese, e all'architettura nella quale ancora oggi siamo in gran parte immersi e viviamo noi europei, che siamo così fortunati da averla davanti agli occhi ogni giorno. Sarebbe infatti ben strano se non potessimo apprezzare, accanto ai grandi pittori e letterati che da sempre apprezziamo, anche i musicisti.
Il Secolo d'Oro è effettivamente uno scrigno di meraviglie. Non abbastanza lontano da noi perché si siano persi gli strumenti più elementari per decifrare la bellezza delle sue testimonianze (in genere sontuose e superbamente eleganti, non hanno bisogno di spiegazione); non troppo vicino al nostro tempo al punto da risultare eccessivamente familiare o scontato per il nostro gusto.

Tuttavia, devo confessare che questa ondata contemporanea di autentica passione di massa - con alcune punte di fanatismo, ripeto- per la musica "antica", ivi compreso qualche singolo autore precedente, del Quattro/Cinquecento, desta in me qualche interrogativo.
Al di là dell'alto valore intrinsecamente musicale della maggior parte delle opere, e fatta la tara delle tante riscoperte "minori" prive di interesse, quale è il sostrato psicologico che accende questa ondata collettiva di passione ?
Nostalgia per un mondo più ordinato, strutturato, intelleggibile, saldo nelle sue gerarchie sociali e etiche (la monarchia, la Chiesa, le fastose cerimonie laiche e religiose di una società che noi immaginiamo felice ed equilibrata, sbagliando di grosso) cui corrisponderebbe un linguaggio musicale altrettanto saldo e comprensibile, basato su convenzioni tonali e formali ben definite ma sufficientemente ampie da lasciare grande spazio all'invenzione?
Un mondo più puro, ecologico, vicino alla "Natura", che si incarna in opere artistiche e musicali improntate a semplicità e immediatezza formali, comprensibile da tutti?
Nulla di più falso: il barocco è al contrario il trionfo dell'artifizio, della ingegnosità retorica, della sottigliezza e della superfetazione formale.
Una reazione all'estenuatezza del "sentimentalismo" romantico, tutto introspettivo e intimistico, che racconta del contrasto doloroso e drammatico tra individuo e società, tra convenzioni sociali e libertà personale, dilemma nel quale siamo più che mai immersi oggi e che ci assilla?
Insofferenza verso il gigantismo sinfonico e la Volontà di Potenza dell'ultimo Romanticismo, che noi percepiamo come pericoloso groviglio libidico dal quale è scaturita la tragedia delle dittature e delle guerre novecentesche, a noi ancora così vicine nella memoria?
L'inadeguatezza della musica "colta" di oggi a raggiungere il grande pubblico?
La componente "nostalgica" del cercare godimento estetico in opere del passato? Si, certo: ma non credo che ci sia rapporto causale diretto tra la prima e la seconda. C'è di mezzo una mutazione radicale del concetto di Arte e della sua funzione, e noi lo stiamo vivendo.
Cos'altro?
E al di là di questi interrogativi, cui sarebbe comunque interessante dare risposta, non sembra anche a voi un po' strano, innaturale, che nel cuore del XXI secolo tutto un grandissimo pubblico di amanti della musica se ne stia con la testa girata all'indietro, vagheggiando un passato della civiltà europea che non tornerà mai, e rifiuti in buona parte - non voglio generalizzare- di interessarsi alla musica di oggi, salvo le sue espressioni più commerciali, più "facili"?
Evidentemente qualcosa non va.
Molta della responsabilità appartiene senz'altro ai compositori di oggi, come ho detto: ma non tutta.
La questione mi sembra molto, molto più complicata.
Ma sarebbe l'argomento di un altro post :-)

1 commento:

  1. Caro Renato, certamente ricorderai che Adorno descrisse già molti anni fa il "tipo" d'ascoltatore di cui parli, il quale oggi pare predominare sullo scenario musicale:

    "[...] Potremmo battezzare questo tipo di ascoltatore sostanzialmente reattivo col nome di ascoltatore risentito: di esso fanno parte gli amatori di Bach dai quali in altra occasione ho difeso questo musicista, e ancor più vi appartengono coloro che si incapricciano della musica prebachiana. [...] L'ascoltatore risentito che, protestando contro la routine musicale convenzionale, è apparentemente non conformista, simpatizza in tal modo con ordinamenti e con collettività solo perché sono tali, con tutte le conseguenze sociopsicologiche e politiche che ne derivano: ne sono prova i volti ottusamente settari, potenzialmente digrignanti che si concentrano nell'ascolto delle cosiddette 'ore bachiane' o delle 'musiche della sera'. Nella loro sfera specifica sono esperti, e sanno anche far musica attivamente; tutto insomma fila liscio come l'olio, ma tutto è accoppiato con Weltanschanung e distorto su questa base. L'incapacità di costoro a un ascolto adeguato consiste nel fatto che vengono ignorati interi settori musicali che invece sarebbe importante conoscere. La coscienza di questo tipo di ascoltatore è preformata dalle mete prefisse delle sue associazioni, per lo più seguaci di idee reazionarie, e dallo storicismo. [...] Se il tipo emotivo tende al Kitsch, l'ascoltatore risentito mira a un falso rigore che realizza l'oppressione meccanica dei propri stimoli in nome di un'intima partecipazione alla sua collettività. Una volta costoro si chiamavano 'Musikanten', nome che hanno messo da parte solo sotto la smaliziata gestione antiromantica."

    Lascio indovinare di quale libro di Adorno si tratti.

    Aggiungo che tempo fa, l'amico Renzo Cresti sostenne che, se in anni passati (si riferiva specialmente agli anni '60-'70), una buona parte di colpa potesse essere attribuita ai compositori "settari", oggi non si possa essere accusati di snobismo: si è fatto molto per "introdurre" il pubblico, "vezzeggiarlo" (persino) e cercare di non escluderlo con quella severità con cui i "compagni di concerto" di Alberto Sordi, nell'episodio "Le vacanze intelligenti", trattavano come un sudicio zoticone il pover'uomo, colpevole d'ignorare che "il tacet" era in partitura. Sempre Adorno parlò di quello "stare girati verso il passato" che tu sottolinei. Molta parte in causa hanno i cosiddetti "intellettuali" odierni, feticisti del "vintage": dagli occhiali alle vesti; nel cinema persino delle pellicole passate, non "studiate o storicizzate", ma addirittura utilizzate come reazione al digitale, con la presunta funzione di "superiorità" e "inarrivabile bellezza del passato"...

    Un caro saluto

    Dario Agazzi

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